The Truman Show
E’ il 1998 ed uno slogan cattura l’attenzione del pubblico: “In onda. Senza saperlo!“. In queste quattro parole si racchiude la vita di Truman Burbank, protagonista di questa straordinaria pellicola firmata Peter Weir e nata dal genio e dalla penna di Andrew Niccol. Truman è interpretato da un magistrale Jim Carrey che per la prima volta veste i panni drammatici e dimostra al pubblico, ai critici ed ai suoi illustri colleghi tutta la sua straordinaria capacità artistica. The Truman Show è una satira sci-fi che mina il paradossale modo di rappresentare la realtà propria dei reality show: una mera derisione di quel format televisivo che propina al pubblico come vera una quotidianità ripresa costantemente dalle telecamere. Il film è anche dichiaratamente una denuncia verso l’ossessione di voler costantemente spiare la vita altrui, smania nata nel 1984 col Grande Fratello di George Orwell e divenuta presto infatuazione di massa con l’omonimo reality che ha conquistato gran parte dei paesi del globo. Non solo è un film che lancia Carrey come ottimo attore drammatico, ma entra di diritto nell’elenco dei migliori film del secolo scorso, seppur non ebbe i giusti riconoscimenti dall’Academy.
“Non troverai più verità là fuori di quella che hai trovato qua dentro!”
Così Christof (uno straordinario Ed Harris, da nomination), autore del Truman Show, dipinge a Truman il mondo reale. La sua figura è paterna e vuole proteggere Truman dai pericoli del mondo, mettendolo in guardia, avvisandolo che il mondo reale non è migliore di quello artificiale, né tantomeno più autentico. Ma per Truman, ormai consapevole dell’inganno subito, un inganno durato 30 anni in cui ha incontrato solo attori e falsi sentimenti sul suo cammino di vita, il mondo reale è un sogno. E’ qui che il pubblico inizia a vivere le emozioni vere di Truman, le sue speranze, le sue sofferenze: mare finto ed orizzonte di cartongesso sono il culmine della delusione di Truman e, conseguentemente, degli spettatori. Il film è dunque una condanna al voyeurismo del Ventunesimo secolo che colpisce chiunque sia seduto davanti ad uno schermo, ad osservare l’unica cosa autentica di uno show le cui fondamenta si ergono sulla menzogna: Truman Burbank. Una struttura narrativa che scorre su un binario doppio: una storia dentro un’altra storia, in cui l’unico collegamento avviene attraverso una piccola porta ricavata nel cielo di cartongesso. E l’uscita di scena di Truman, accompagnata dal suo motto e da un inchino, è una vera e propria uscita da star. A me piace pensare che l’inchino di Truman sia anche l’inchino di Jim Carrey al grande pubblico, in segno di ringraziamento per averlo amato in quel ruolo inedito.
Trama – fonte: www.comingsoon.it
The Truman Show, è un film del 1998 diretto da Peter Weir. Il protagonista della vicenda è Truman Burbank (Jim Carrey), che trascorre la sua esistenza nell’idilliaco isolotto di Seahaven. Nonostante l’apparente serenità, l’uomo prova un sentimento di angosciante insofferenza per la sua vita e, con il passare del tempo, il senso di estraneazione lo costringe a dubitare di tutto.
Truman è molto amato dai genitori, della moglie Meryl (Laura Linney) e dell’amico Marlon (Noah Emmerich), ma percepisce una differenza sempre più netta tra le sue reazioni emotive e quelle delle persone a lui care.
Quando si verificano una serie di circostanze del tutto atipiche, Truman decide di indagare sul suo passato, ma la consultazione dei vecchi album di famiglia non fa che confonderlo. Un pensiero, in particolare, continua a tormentarlo. Anni prima, Truman aveva fatto la conoscenza di Lauren (Natascha McElhone) della quale si era innamorato a prima vista.
La ragazza sembrava sul punto di rivelargli qualcosa di fondamentale, ma non aveva il permesso di rivolgergli parola. Dopo aver suscitato la curiosità di Truman, Lauren scomparì improvvisamente e in città tutti si dicevano certi che fosse affetta da schizofrenia e si fosse trasferita sulle isole Figi.
Nonostante il terrore dell’acqua, Truman desidera allontanarsi dall’illusoria isola e decide di avventurarsi nel mare. Qui, finalmente, apprenderà l’assurda e scioccante verità sulla sua intera esistenza.
Cast – fonte: www.comingsoon.it
Trailer
Riconoscimenti – fonte: www.comingsoon.it
Il film ottenne tre candidature ai Premi Oscar del 1999:
Nomination Miglior regia a Peter Weir
Nomination Miglior attore non protagonista a Ed Harris
Nomination Miglior sceneggiatura originale a Andrew Niccol
Curiosità – fonte: www.lascimmiapensa.com
1) Nomi: che passione!
L’attenzione di Peter Weir e Andrew Niccol riguardo ai nomi dei personaggi e dei luoghi è stata quasi maniacale. Infatti, dietro ad ogni cosa di The Truman Show c’è sempre un significato ed una spiegazione.
Partendo da Seahaven, la città artificiale creata appositamente per Truman Burbank. Non solo le piazze e le strade portano il nome di un attore (per sottolineare la finzione), ma, letteralmente significa “Rifugio di mare”, “Posto sicuro”, insomma, un luogo in cui il protagonista doveva sentirsi bene e felice.
Stesso discorso è stato fatto per le persone vicine al protagonista. Maryl, la moglie di Truman, deve il nome a Maryl Streep. Così come Marlon, il suo migliore amico, il cui nome si riferisce a Marlon Brando.
Ancora, l’ideatore del popolarissimo programma non a caso si chiama Christof. Colui che ha realizzato l’universo di Truman e che osserva l’evolversi degli eventi da una falsa “luna”, in cui ha sede lo studio dello show. Un ovvio richiamo a Cristo.
Tuttavia, la genialità nell’utilizzo dei nomi si trova in Truman Burbank. Difatti, Truman nasce da un gioco di parole fra True (vero) e Man (uomo). L’unico personaggio reale di tutto lo show non poteva chiamarsi diversamente.
Mentre il cognome Burbank deriva da un’omonima città della California, famosa per i suoi studios. In più, quando nel film viene mostrato il luogo dove è stata creata Seahaven, si nota come la fantomatica città sorga al posto di Burbank.
2) Chi l’ha visto?
The Truman Show è stato un progetto lungo e dispendioso. Partì nel 1995, ma a causa degli impegni di Jim Carrey (intento a filmare: Il rompiscatole e Bugiardo bugiardo) le riprese slittarono all’anno successivo.
Infatti, iniziarono il 9 dicembre 1996, e si conclusero il 21 aprile 1997. Gli imprevisti, in una produzione del genere sono all’ordine del giorno, e, infatti, la produzione si trovò a dover rimpiazzare Dennis Hopper, che abbandonò il set per divergenze creative.
Venne sostituito da Ed Harris, che all’ultimo secondo partecipò al film. Tuttavia, per il periodo delle riprese, Ed Harris e Jim Carry non si incontrarono mai. Un evento che non può non ricollegarsi al film dove anche i loro personaggi non si sono mai visti.
3) Jim Carrey nel segno del destino.
The Truman Show deve gran parte del suo successo non solo ad una sceneggiatura geniale, ma anche ad uno strepitoso Jim Carrey. Peter Weir quando prese in mano il film, fin da subito, in mente, ebbe un solo nome per il protagonista: Jim Carrey.
Una grande opportunità per l’attore, nonché la prima possibilità di recitare in un ruolo drammatico. Carrey fin da subito fu entusiasta, tanto che, per partecipare si ridusse l’ingaggio da 20 milioni di dollari a 12, e parlando del film affermò:
È stato uno dei migliori copioni che abbia mai letto.
Qui, Carrey ha mostrato tutta la sua abilità di attore e la sua infinita creatività. La scena in cui Truman, davanti allo specchio intento a scherzare, disegna sul vetro con la saponetta una tuta spaziale per fingersi un’astronauta, è frutto dell’improvvisazione dell’attore.
La performance di Jim Carrey in The Truman Show gli valse un Golden Globe, ma non l’Oscar. Nell’anno in cui trionfò Roberto Benigni, Carrey non fu nemmeno nominato nella categoria di “miglior attore protagonista”, ma presenziò alla serata presentando l’oscar per il Miglior Montaggio.
4) A.A.A. città da sogno cercasi.
Accontentare Peter Weir sulla location dove girare The Truman Show non è stato facile. Il regista, per il suo enorme set, voleva che un’intera città diventasse Seaheaven. Proprio per questo girò numerose città intorno alla California, ma nessuna lo convinse particolarmente.
Infatti, Weir non riusciva a trovare la location che meglio potesse rappresentare il concetto di “porto sicuro”, stupendo e quasi irreale. Fu la moglie a venire in aiuto a Weir.
Per l’appunto, fu lei ad indicare al marito una piccola cittadina della Florida: Seaside. Quando Weir arrivò nella città con il suo team della pre-produzione disse:
Spacchettate tutto, abbiamo trovato la nostra città.
5) Una sceneggiatura da riscrivere.
Prima di arrivare al prodotto finale, Andrew Niccol scrisse nel 1991 una bozza intitolata: The Malcolm Show, un thriller di fantascienza ambientato a New York, il cui protagonista doveva essere Gary Oldman.
La sceneggiatura venne acquistata nel 1993 per poco più di un milione di dollari dalla Paramount che, per realizzare il film, stanziò un budget di 80 milioni.
La casa di produzione era davanti al suo più grande investimento e, dunque, voleva essere sicura di ricavarne un successo. Proprio per questo decisero di non affidare la regia a Niccol (che sarebbe stato il suo debutto alla cinepresa), ma di cercare un nome più esperto.
Per molto tempo ci fu un contatto con Brian De Palma, che, per questioni lavorative, dovette rinunciare. Da li ci furono tanti altri registi che vennero presi in considerazione. Tuttavia, a vincere la concorrenza fu Peter Weir.
Il nuovo regista iniziò a lavorare al film nel 1995, e, prima di ogni altra cosa, analizzò la sceneggiatura. Per Weir disse che l’idea di base era troppo “dark”. Infatti, pensava che ci volesse qualcosa di più leggero, un qualcosa in grado di spiegare perché delle persone dovessero vedere uno show che durasse 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Niccol presentò a Weir 16 versioni del copione, e solo la sedicesima venne considerata pronta per essere girata.
6) Il Poster che vale una fortuna.
L’attenzione alle immagini è fondamentale. La locandina di un film molte volte diventa essa stessa simbolo dell’opera cinematografica, come un vero e proprio bigliettino da visita.
Per The Truman Show fu così, grazie al capolavoro della grafica che ritrae il volto di Jim Carrey, ricreato da centinaia e centinai di piccoli frame del film. L’artista che ha realizzato l’iconico poster è Rob Silverman.
Un lavoro minuzioso e ben studiato, capace di tramettere quel concetto di: “sempre sotto i riflettori” del film. Eppure, si tratta di un’opera pagata a peso d’oro. Infatti, sembra che l’immagine commissionata sia stata pagata ben 75.000 dollari.
7) Soffro della “Sindrome di Truman”.
Nel 2008, Joel e Ian Gold, rispettivamente psichiatra e neurofilosofo, in un articolo pubblicato dal New York Times parlarono di un nuovo disturbo in campo psichiatrico che chiamarono: La sindrome di Truman o sindrome da Truman Show.
Esattamente come nel film di Weir, il soggetto crede che la sua vita sia sempre ripresa, minuto per minuto, o che la sua vita sia frutto di un copione.
A detta di molti psichiatri sarebbe la conseguenza del culto della celebrità, che, soprattutto nel nostro secolo, viene percepita e ricercata in maniera quasi maniacale.
Questo disturbo è stato oggetto di un articolo pubblicato nel 2013 sul New Yorker dove Andrew Maratz racconta la storia di un certo Nick Lotz, convinto che la sua vita fosse al centro di un reality show.