Brazil
Nel cuore di una città distopica, dove i cavi elettrici serpeggiano come serpenti d’acciaio attraverso i muri scrostati, un sibilo incessante riempie l’aria. Le torri di cemento e vetro si stagliano contro un cielo eternamente grigio, proiettando lunghe ombre su una popolazione che si muove con l’inquietudine di marionette spezzate. In questo labirinto burocratico ed opprimente, prende vita, fra le innumerevoli peripezie, il film capolavoro Brazil, una satira visionaria e surreale dell’inefficienza e dell’assurdità della burocrazia di Terry Gilliam. La storia segue Sam Lowry, un impiegato di basso livello al Ministero dell’Informazione, interpretato con un malinconico trasporto da Jonathan Pryce. Sam è un uomo che sogna di sfuggire alla monotonia della sua esistenza quotidiana, rifugiandosi in fantasie dove vola libero come un angelo dorato, cercando di salvare una bella dama in pericolo. Il suo mondo reale è un intricato labirinto di scartoffie e procedure, dove anche il più piccolo errore può portare a conseguenze disastrose. Gilliam dipinge questo universo con una maestria visiva che mescola influenze di Kafka, Orwell e del movimento artistico-letterario surrealista. Ogni inquadratura viene attentamente costruita per esprimere la claustrofobia ed il caos del sistema burocratico. La fotografia a firma di Roger Pratt è cupa e densa, le ombre sono così profonde che sembrano voler inghiottire i personaggi, mentre le luci al neon ed i monitor scintillanti aggiungono un tocco di modernità sinistra. La svolta nella vita di Sam arriva con un errore burocratico: un errore di battitura che scambia il nome di un innocente, Archibald Buttle (Brian Miller), con quello di un sospetto terrorista, Archibald Tuttle (Robert De Niro). Questo evento minore si trasforma in una catastrofe, illustrando l’assurdità e la crudeltà del sistema. La ricerca della verità porta Sam a incontrare Jill Layton, la donna dei suoi sogni (letteralmente e figurativamente), interpretata da Kim Greist. Jill è una ribelle che cerca di svelare il mistero dietro l’arresto di Buttle, e Sam si ritrova invischiato in una serie di eventi sempre più surreali e pericolosi. Robert De Niro fa un’apparizione memorabile nei panni di Harry Tuttle, un tecnico di riscaldamento clandestino che sfida la burocrazia con la sua destrezza ed il suo spirito anarchico. De Niro infonde al personaggio un’energia contagiosa, rappresentando una sorta di eroe moderno che combatte il sistema con ingegno e coraggio. La colonna sonora, composta da Michael Kamen, è un altro elemento chiave del film, intrecciando temi classici con arrangiamenti eccentrici. La canzone Aquarela do Brasil funge da leitmotiv, e si erge a simbolo del desiderio di evasione di Sam e del contrasto tra la sua realtà grigia ed il mondo dei suoi sogni. La regia di Gilliam è audace e non convenzionale. Utilizza angoli di ripresa estremi, transizioni oniriche ed un ritmo narrativo che sfida le aspettative convenzionali. Il montaggio è frenetico, quasi caotico, rispecchiando l’ansia e la confusione dei personaggi. Le scenografie, realizzate con un’attenzione maniacale ai dettagli, creano un mondo tangibile ed allo stesso tempo fantastico, dove ogni oggetto sembra avere una storia ed un significato nascosto. La satira di Brazil è feroce ed acuta. Gilliam critica senza pietà la disumanizzazione della burocrazia e la perdita di identità individuale in una società iper-regolamentata. Il film esplora temi di sorveglianza, conformismo ed il potere distruttivo delle istituzioni. Tuttavia, non manca di un’ironia sottile e di un umorismo nero che permea ogni scena, bilanciando la gravità dei temi trattati. Il finale, ambiguo e struggente, lascia lo spettatore con un senso di malinconia e riflessione. Gilliam non offre una facile via d’uscita od una soluzione consolatoria, ma ci costringe a confrontarci con le nostre paure e le nostre aspirazioni, mettendo in discussione la natura della realtà e la possibilità di vera libertà. In conclusione, Brazil è un’esperienza cinematografica unica, un viaggio attraverso un incubo burocratico che rispecchia le ansie e le frustrazioni del nostro mondo moderno. Terry Gilliam, a mio avviso, ha creato un’opera d’arte che è al contempo inquietante ed affascinante, una visione che rimane impressa nella mente molto tempo dopo i titoli di coda: è un film che sfida, ispira e, soprattutto, fa riflettere, un testamento del potere del cinema di esplorare e criticare la complessità della condizione umana.
Trama – fonte: www.comingsoon.it
Brazil è un film diretto da Terry Gilliam, ambientato in un futuro distopico in cui la vita dell’uomo è governata dalla burocrazia sotto ogni suo aspetto. In un imprecisato anno del ventunesimo secolo, in una non ben nota nazione, il governo ha messo in atto delle severe – quanti inefficaci – misure per rintracciare i terroristi. A causa di una falla nel sistema statale, altamente automatizzato e burocratizzato, viene scambiato per errore il nome di un vero terrorista con quello di un uomo innocente: così il povero signor Buttle (Brian Miller) viene arrestato e muore al posto di Harry Tuttle (Robert De Niro), che continua a girare indisturbato. Sam Lowry (Jonathan Pryce), modesto impiegato del Ministero dell’Informazione, viene incaricato di fare chiarezza sull’errore. Durante le sue indagini ha modo di conoscere Jill Layton (Kim Greist), la vicina del defunto Buttle, di cui se ne innamora. Ma mentre Sam sogna tutte le notti la sua bella, finirà anche lui vittima della folle burocrazia governativa…
Cast – fonte: www.comingsoon.it
Trailer
Riconoscimenti – fonte: www.mymovies.it
Il film ottenne due nomination ai Premi Oscar del 1986:
- Nomination Miglior sceneggiatura originale a Terry Gilliam, Tom Stoppard, Charles McKeown
- Nomination Miglior scenografia a Norman Garwood, Maggie Gray
Curiosità – fonte: www.davinotti.com
1 – Il titolo iniziale doveva essere 1984 ½, un mix di metafora orwelliana e fantasia felliniana.
2 – Gilliam (che confessa di non aver mai letto il libro di Orwell) ebbe l’idea del film dopo un sogno che lo ossessionava: un uomo seduto su una spiaggia nera come il carbone (mentre ascoltava rapito, alla radio, la canzone scritta nel 1939 da Ary Barroso). Buttò giù un soggetto, che divenne sceneggiatura scritta insieme a Charles McKeown e al drammaturgo Tom Stoppard. Cambiò subito il titolo con Brazil, in quanto aveva sempre in testa la canzone resa famosa da Xavier Cogat.
3 – La Universal rimase interdetta, aspettandosi un nuovo Blade Runner o un nuovo Mad Max, di fronte al risultato sardonico, cupo, inquietante, surreale e barocco che aveva messo in piedi Gilliam, che scatenò tutta la sua fantasia di ex Monty Phyton. Diede una mano a Gilliam il produttore indipendente Arnon Milchan, uno dei pochi produttori che guardava più all’arte che non ai meri incassi (C’era una volta in America, Legend). Ma i problemi per Gilliam arrivarono alla post-produzione, che fu per lui un vero e proprio calvario. La Universal rifiuta di far uscire il film considerandolo “non commerciabile e troppo eccentrico per il mercato americano” e pretende da Gilliam che lo accorci dai 142′ originari a 125′. Gilliam prende tempo, arriva a un accordo (l’edizione americana dura 11′ minuti in meno rispetto a quella europea).
4 – All’uscita nelle sale americane, nonostante due nomination agli Oscar per scenografia e sceneggiatura, il film si rivela un insuccesso commerciale, non riuscendo nemmeno a recuperare i costi produttivi. Le cose non vanno meglio in Europa: accolto con fredezza al Festival di Berlino, in Italia incassa appena 400 milioni e anche la critica si divide (entusiasta Fofi, freddini e poco convinti Kezich e Grazzini). A Ciak Brazil è particolarmente caro: venne infatti recensito positivamente nel numero 1 del maggio 1985.