Pier Paolo Pasolini
BOLOGNA, Italia, 5 marzo 1922
Carriera – fonte: it.wikipedia.org
Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo italiano, considerato tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento. Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista. Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della società dei consumi allora nascente in Italia (in tal senso definì i membri della borghesia italiana “bruti stupidi automi adoratori di feticci”), così come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti (definì questi ultimi “figli di papà” e il Sessantotto un evidente episodio di “sacro teppismo di eletta tradizione risorgimentale”). Il suo rapporto con la propria omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico.Leggi tutto...
«E io ritardatario sulla morte, in anticipo sulla vita vera, bevo l’incubo della luce come un vino smagliante.» (Da Poesie mondane, in Poesia in forma di rosa (1961-64))
L’infanzia e la giovinezza
Pier Paolo Pasolini, primogenito dell’ufficiale di fanteria bolognese Carlo Alberto Pasolini e della maestra friulana Susanna Colussi di Casarsa della Delizia, nacque nel quartiere Santo Stefano di Bologna il 5 marzo 1922, in via Borgonuovo 4, dove ora c’è una foresteria militare e una targa in marmo che lo ricorda. Suo nonno Gaspare Argobasto Pasolini, nato nel 1845, era imparentato al ramo secondario dei Pasolini dall’Onda, un’antica famiglia nobile ravennate. Sia il nonno Argobasto che il padre Carlo Alberto erano amanti del gioco d’azzardo, passione che porterà la famiglia alla rovina economica. A causa dei frequenti trasferimenti del padre, la famiglia, che da Bologna si era già trasferita a Parma, nel 1923 si stabilì a Conegliano e nel 1925 a Belluno, dove nacque il fratello Guido Alberto. A Belluno venne mandato all’asilo dalle suore, ma dopo pochi giorni si rifiutò di andarci e la famiglia acconsentì. Nel 1927 i Pasolini furono nuovamente a Conegliano, dove Pier Paolo venne iscritto alla prima elementare, non avendo ancora compiuto sei anni. L’anno successivo traslocarono a Casarsa della Delizia, in Friuli, ospiti della casa materna, poiché il padre era agli arresti per alcuni debiti. La madre, per far fronte alle difficoltà economiche, riprese l’insegnamento. Terminato il periodo di detenzione del padre, ricominciarono i trasferimenti a un ritmo quasi annuale. Fondamentali rimasero i soggiorni estivi a Casarsa.
«… vecchio borgo… grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana.»
Nel 1929 i Pasolini si spostarono nella vicina Sacile, sempre in ragione del mestiere del capofamiglia, e in quell’anno Pier Paolo aggiunse alla sua passione per il disegno quella della scrittura, cimentandosi in versi ispirati ai semplici aspetti della natura che osservava a Casarsa. Dopo un breve soggiorno a Idria, in Venezia Giulia (oggi in Slovenia), la famiglia ritornò a Sacile, dove Pier Paolo affrontò l’esame di ammissione al ginnasio. Venne rimandato in italiano, per poi superare la prova a ottobre. A Conegliano cominciò a frequentare la prima classe, ma a metà dell’anno scolastico 1932-1933 il padre fu trasferito a Cremona, dove la famiglia rimase fino al 1935 e Pier Paolo frequentò il Liceo Ginnasio Daniele Manin. Fu questo un triennio di intense fascinazioni e di un precoce ingresso nell’adolescenza, come testimonia il vibrante tratto autobiografico Operetta marina, scritto alcuni anni più tardi e pubblicato postumo insieme a Romàns. Successivamente il padre ebbe un nuovo trasferimento a Scandiano, con gli inevitabili problemi di adattamento per il tredicenne, causati anche dal cambiamento di ginnasio a Reggio Emilia, che raggiungeva in treno. In Pier Paolo crebbe la passione per la poesia e la letteratura, mentre lo abbandonava il fervore religioso del periodo dell’infanzia. Completato il ginnasio a Reggio Emilia, frequentò il Liceo Galvani di Bologna, dove incontrò il primo vero amico della giovinezza, il reggiano Luciano Serra. A Bologna, dove avrebbe trascorso sette anni, Pier Paolo coltivò nuove passioni, come quella del calcio, e alimentò la sua passione per la lettura comprando numerosi volumetti presso le bancarelle di libri usati sotto il portico della Libreria Nanni, circa di fronte a piazza Maggiore. Le letture spaziavano da Dostoevskij, Tolstoj e Shakespeare ai poeti romantici del periodo di Manzoni. Al Liceo Galvani di Bologna fece conoscenza con altri amici, tra i quali Ermes Parini, Franco Farolfi, Sergio Telmon, Agostino Bignardi, Daniele Vargas, Elio Melli, e con loro costituì un gruppo di discussione letteraria. Intanto la sua carriera scolastica proseguiva con eccellenti risultati e nel 1939 venne promosso alla terza liceo con una media tanto alta da indurlo a saltare un anno per presentarsi alla maturità in autunno. Si iscrisse così, a soli diciassette anni, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna e scoprì nuove passioni culturali, come la filologia romanza e soprattutto l’estetica delle arti figurative, insegnata al tempo dall’affermato critico d’arte Roberto Longhi, laureandosi con lode. Frequentava intanto il Cineclub di Bologna, dove si appassionò al ciclo dei film di René Clair; si dedicò allo sport e fu nominato capitano della squadra di calcio della Facoltà di Lettere; faceva gite in bicicletta con gli amici e frequentava i campeggi estivi che organizzava l’Università di Bologna. Con gli amici – l’immagine da offrire ai quali era sempre quella del “noi siamo virili e guerrieri”, perché non percepissero nulla dei suoi travagli interiori – si incontrava, oltre che nelle aule dell’Università, anche nei luoghi istituiti dal regime fascista per la gioventù, come il GUF, i campeggi della “Milizia”, le competizioni dei Littoriali della cultura. Procedevano in questo periodo le letture delle Occasioni di Montale, di Ungaretti e delle traduzioni dei lirici greci di Quasimodo, mentre fuori dall’ambito poetico leggeva soprattutto Freud e ogni cosa che fosse disponibile in traduzione italiana. Nel 1941 la famiglia Pasolini trascorse come ogni anno le vacanze estive a Casarsa e Pier Paolo scrisse poesie che allegava alle lettere per gli amici bolognesi tra i quali, oltre l’amico Serra, erano inclusi Roberto Roversi e il cosentino Francesco Leonetti, verso i quali sentiva un forte sodalizio:
«L’unità spirituale e il nostro modo unitario di sentire sono notevolissimi, formiamo già cioè un gruppo, e quasi una poetica nuova, almeno così mi pare.»
Il padre era stato richiamato in servizio ed era partito per l’Africa Orientale, dove verrà fatto prigioniero dagli inglesi. I quattro giovani pensarono di fondare una rivista dal titolo Eredi alla quale Pasolini volle conferire un programma sovraindividuale:
«Davanti a Eredi dovremo essere quattro, ma per purezza uno solo.»
La rivista non vedrà la luce a causa delle restrizioni ministeriali sull’uso della carta, ma quell’estate del 1941 rimarrà per i quattro amici indimenticabile. Cominciarono intanto ad apparire nelle poesie di Pasolini alcuni frammenti di dialogo in friulano, anche se le poesie inviate agli amici continuavano a essere composte da versi improntati alla letteratura in lingua italiana.
Le prime esperienze letterarie
Di ritorno da Casarsa, all’inizio dell’autunno scoprì di aver nel cuore la lingua friulana e tra gli ultimi mesi del 1941 e i primi del 1942 scrisse i versi che, raccolti in un libretto intitolato Poesie a Casarsa, verranno pubblicati il 14 luglio 1942, a spese dell’autore, e saranno subito notati da Gianfranco Contini (che gli dedicherà una recensione positiva), da Alfonso Gatto e dal critico Antonio Russi. Queste poesie saranno da lui stesso tradotte in italiano nel tentativo di rivendicare una poetica del friulano come lingua letteraria e verranno raccolte nel volume La meglio gioventù (1954). Nel luglio 1942 passò tre settimane in un campo di addestramento per allievi ufficiali presso Porretta Terme. A Bologna intanto riprese la fervida vita culturale, che si svolgeva all’interno dell’università, e, anche perché incoraggiato dal giudizio positivo che Francesco Arcangeli aveva dato ai suoi quadri, chiese di svolgere una tesi di laurea sulla pittura italiana contemporanea con Roberto Longhi, docente di Storia dell’arte. Di questa tesi, il cui manoscritto andrà perduto dopo l’8 settembre 1943, Pasolini abbozzerà solamente i primi capitoli, per poi rinunciarvi e passare a una tesi più motivata sulla poesia di Pascoli. Scelto come relatore il suo professore di letteratura italiana Carlo Calcaterra, Pasolini lavorò al progetto dell’Antologia della poesia pascoliana (introduzione e commenti) tra il 1944 e il 1945, mettendo a punto, dopo un’ampia introduzione in cui sono esposte e discusse le premesse teoriche della tesi, una personale selezione di testi provenienti dalle differenti raccolte del Pascoli, analizzati e commentati con sensibilità peculiare. Il 26 novembre 1945 Pasolini si laureò in Lettere con 110/110 e lode presso l’Università degli Studi di Bologna, discutendo una tesi su Giovanni Pascoli, ma solo nel 1993 l’Antologia vide la luce per la casa editrice Einaudi. La GIL di Bologna aveva intanto in programma di pubblicare una rivista, Il Setaccio, con qualche intenzione di fronda culturale. Pasolini aderì e ne diventò vice redattore, ma presto entrò in contrasto con il direttore responsabile, Giovanni Falzone, che era molto ligio alla retorica del regime. La rivista cesserà le pubblicazioni dopo solo sei numeri, ma rappresenterà per Pasolini un’esperienza importante, grazie alla quale comprenderà la natura regressiva e provinciale del fascismo e maturerà un atteggiamento culturale antifascista anche grazie all’incontro con Giovanna Bemporad, a cui propose di realizzare alcune traduzione per la rivista, nella quale lei si firmava Giovanna Bembo per sfuggire alle leggi razziali. Nel giugno 1942 partecipò a un viaggio nella Germania nazista, organizzato come incontro della gioventù universitaria dei paesi fascisti, che gli rivelò aspetti della cultura europea sconosciuti al provincialismo italiano. Al ritorno dal viaggio, pubblicò, sulla rivista del GUF, l’articolo “Cultura italiana e cultura europea a Weimar” (proposto per la prima volta nell’agosto 1942 nella rivista Architrave, e poi riproposto nel gennaio dell’anno successivo sul Setaccio), che anticipava già quello che sarà il Pasolini “corsaro”, e sul Setaccio tracciò le linee di un programma culturale i cui principi erano quelli dello sforzo di autocoscienza, del travaglio interiore, individuale e collettivo e della sofferta sensibilità critica, un percorso che lo poneva già al di fuori del fascismo.
Il periodo della guerra
Il 1942 si concluse con la decisione della famiglia di sfollare in Friuli, a Casarsa, ritenuto un luogo più tranquillo e sicuro per attendere la fine della guerra. Nel 1943 a Casarsa il giovane Pier Paolo fu colto da quei turbamenti erotici che in passato aveva cercato di allontanare:
«Un continuo turbamento senza immagini e senza parole batte alle mie tempie e mi oscura.» (Lettera a Fabio Mauri, febbraio 1943.)
Continuava intanto a tenersi in contatto epistolare con gli amici, ai quali questa volta non volle nascondere nulla, raccontando quanto gli stava capitando:
«Ho voglia di essere al Tagliamento, a lanciare i miei gesti uno dopo l’altro nella lucente cavità del paesaggio. Il Tagliamento qui è larghissimo. Un torrente enorme, sassoso, candido come uno scheletro. Ci sono arrivato ieri in bicicletta, giovane indigeno, con un più giovane indigeno di nome Bruno…» (Lettera a Luciano Serra del 22 luglio 1943.)
Alla vigilia dell’armistizio, Pasolini fu chiamato alle armi. Costretto ad arruolarsi a Pisa il primo settembre 1943, una settimana dopo, l’8 settembre, disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e riuscì a fuggire dalla deportazione travestito da contadino e a rifugiarsi a Casarsa. Lì c’erano alcuni giovani appassionati di poesia (Cesare Bortotto, Riccardo Castellani, Ovidio Colussi, Federico De Rocco e il cugino Domenico Naldini) con i quali fondò l’Academiuta di lenga furlana, che si proponeva di rivendicare l’uso letterario del friulano casarsese contro l’egemonia di quello udinese. Il nuovo gruppo si propose di pubblicare una rivista che fosse in grado di rivolgersi al pubblico del paese e nello stesso tempo promuovere la sua poetica. Il primo numero della rivista uscì nel maggio 1944 con il titolo “Stroligùt di cà da l’aga” (“Lunario [pubblicato] di qua dall’acqua [il Tagliamento]”). Nel frattempo, la tranquillità di Casarsa era compromessa dai bombardamenti e dai rastrellamenti dei fascisti per l’arruolamento forzato nel nuovo esercito della Repubblica di Salò e cominciavano a formarsi i primi gruppi partigiani. Pier Paolo cercò di astrarsi il più possibile, dedicandosi agli studi e alla poesia, e intanto tenne lezioni private per quegli studenti che a causa dei bombardamenti non potevano raggiungere le scuole di Pordenone o il ginnasio di Udine. Nell’ottobre 1944 Pier Paolo e la madre – il fratello Guido si era intanto unito alle formazioni partigiane della Carnia – si trasferirono a Versuta, che sembrava essere un luogo più tranquillo e lontano dagli obiettivi militari. Nel villaggio mancava la scuola e i ragazzi dovevano percorrere più di tre chilometri per raggiungere la loro sede scolastica a Casarsa, che era stata bombardata. Susanna e Pier Paolo decisero così di aprire una scuola gratuita nella loro casa. Pier Paolo visse il suo primo amore in quei momenti per un allievo tra i più grandi («In quelle membra splendevano un’ingenuità, una grazia… o l’ombra di una razza scomparsa che durante l’adolescenza riaffiora») e, al contempo, si innamorò di lui una giovane violinista slovena, Pina Kalc (Josipina Kalc), che aveva raggiunto con la sua famiglia il rifugio di Pasolini. La vicenda del ragazzo e l’amore di Pina per lui si intrecciarono, complicando dolorosamente quei lunghi mesi che mancavano alla fine della guerra. Il 12 febbraio 1945 a Cividale del Friuli, Guido, il fratello diciannovenne di Pier Paolo, fu ucciso, insieme ad altri 16 partigiani della Brigata Osoppo, a Porzus, in Friuli, da una milizia di partigiani comunisti in quello che fu ricordato come l’eccidio di Porzûs. Questa notizia fu data a Pasolini il 2 maggio 1945 dal suo amico partigiano Cesare Bortotto, gettando Pier Paolo e la madre in un terribile strazio. Proseguirono comunque le lezioni nella piccola scuola di Versuta, dove Pier Paolo era considerato un vero maestro. Il 18 febbraio dello stesso anno venne fondata l'”Academiuta di lenga furlana”, che raccoglieva un piccolo gruppo di neòteroi e che, sulle basi delle esperienze precedenti di Pier Paolo, fondò i principi del felibrismo regionale:
«Nel nostro friulano noi troviamo una vivezza, e una nudità, e una cristianità che possono riscattarlo dalla sua sconfortante preistoria poetica.» (Da Il Stroligut, n°1, agosto 1945.)
In agosto fu pubblicato il primo numero de Il Stroligut, con una numerazione nuova per distinguersi dal precedente Stroligut di cà da l’aga e, nello stesso periodo, cominciò la serie dei “diarii” in versi italiani pubblicati nel 1946 in un primo volumetto a spese dell’autore sulle “Edizioni dell’Academiuta”, e sulla rivista fiorentina Il Mondo pubblicò due poesie tratte dalla raccolta e scelte dallo stesso Montale. Nello stesso anno aderì a Patrie tal Friul (l’associazione per l’autonomia del Friuli creata da Tiziano Tessitori, con sede a Udine) e dopo il ritorno del padre nell’autunno del 1945, prigioniero degli inglesi in Africa e poi rimpatriato, in anticipo per il lutto ricevuto, dal Kenya.
Il dopoguerra in Friuli
Nel 1946 Pasolini lavorò a un romanzo autobiografico rimasto incompiuto, intitolato dapprima Quaderni rossi perché scritto a mano su cinque quaderni scolastici dalla copertina rossa, poi Pagine involontarie e infine Il romanzo di Narciso. In queste pagine l’autore descrive per la prima volta le sue esperienze omosessuali. Scrive di queste pagine Nico Naldini: “Prima di allora Pier Paolo non aveva mai descritto, se non per simboli ed ellissi, il suo eros e il suo dolore. Lo ha fatto con una sincerità che direi “musicale” dove anche l’ombra di una falsità avrebbe stonato.” Isolato a Versuta (la casa di Casarsa era stata danneggiata dai bombardamenti), Pasolini cercò di ristabilire i rapporti con il mondo letterario e scrisse a Gianfranco Contini per presentargli il progetto di trasformare lo Stroligùt da semplice foglio a rivista. In seguito alla visita fatta da Silvana Mauri, sorella di un suo amico e innamorata di Pasolini, a Versuta, si recò in agosto a Macugnaga, dove risiedeva la famiglia Mauri e, approfittando dell’occasione, si recò a Domodossola per incontrare Contini. Usciva nel frattempo a Lugano il bando del premio “Libera Stampa” e Contini, che era membro della giuria, sollecitò il giovane amico a inviare il dattiloscritto che gli aveva mostrato, L’usignolo della Chiesa Cattolica, con la seconda parte de Il pianto della rosa. L’operetta riceverà solamente una segnalazione, ma intanto Pasolini uscì dal suo isolamento e, grazie anche al clima più sereno del dopoguerra, ricominciò a frequentare la compagnia dei ragazzi più grandi di Versuta. Il 29 marzo 1947 vinse a Venezia il premio Angelo (presieduto da Giuseppe Marchiori) per poesie in friulano e veneto. In ottobre Pasolini si recò a Roma, dove fece la conoscenza di alcuni letterati che lo invitarono a collaborare alla “Fiera Letteraria”. Completò inoltre il dramma in italiano in tre atti intitolato Il Cappellano e pubblicò, nelle Edizioni dell’Academiuta, la raccolta poetica, sempre in italiano, I Pianti. Nel corso del 1947 si iscrisse al PCI di San Giovanni di Casarsa, di cui divenne segretario nel 1949. Il 26 gennaio 1947 Pasolini scrisse sul quotidiano Libertà di Udine: «Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornire una nuova cultura “vera”, ( […] ) una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell’esistenza». Dopo la guerra Pasolini, che era stato a lungo indeciso sul campo in cui scendere, osservò le nuove esigenze di giustizia che erano nate nel rapporto tra il padrone e le varie categorie di diseredati e non ebbe dubbi sulla parte da cui voleva schierarsi. Cercò così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Scriverà all’amica poetessa Giovanna Bemporad:
«L’altro è sempre infinitamente meno importante dell’io ma sono gli altri che fanno la storia.» (Lettera a Giovanna Bemporad, 1947.)
Ed è pensando all’altro che nacque la decisione importante di aderire al comunismo. Progettò intanto di allargare la collaborazione della rivista dell’Academiuta alle altre letterature neolatine e fu messo in contatto, da Contini, con il poeta catalano in esilio Carles Cardó. Sempre a Contini inviò la raccolta completa delle sue poesie in friulano, che per ora si intitolava Cjants di un muàrt, titolo che verrà cambiato in seguito in La meglio gioventù. Non riuscì però a ottenere l’aiuto di nessun editore per pubblicare i versi. Alla fine dell’anno ottenne l’incarico per due anni (1947-1948 e 1948-1949) di insegnare materie letterarie alla prima media della scuola di Valvasone, che raggiungeva ogni mattina in bicicletta. Continuò con grande convinzione la sua adesione al PCI e in gennaio partecipò alla manifestazione, che si tenne nel centro di San Vito, il 7 gennaio 1948, organizzata dalla Camera del lavoro per ottenere l’applicazione del Lodo De Gasperi e fu in questa occasione che, osservando le varie fasi degli scontri con la polizia e parlando con i giovani contadini, si delineò il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento, pubblicato solo nel 1962 con il titolo Il sogno di una cosa. Il primo titolo del romanzo è La meglio gioventù. Sempre impegnato nel PCI, partecipò nel febbraio 1949 al primo congresso della Federazione comunista di Pordenone e in maggio si recò a Parigi per il Congresso mondiale della pace.
Il primo processo
Il 29 agosto 1949, alla sagra di Santa Sabina a Ramuscello, Pasolini pagò tre minori per dei rapporti di masturbazione. La voce arrivò ai carabinieri della Stazione di Cordovado, competente per il territorio. La famiglia di Pasolini intervenne e l’avvocato Bruno Brusin convinse le famiglie dei ragazzi a non sporgere denuncia, offrendo 100 000 lire a testa alle famiglie per il danno subito. L’indagine proseguì, con l’imputazione di atti osceni in luogo pubblico e di corruzione di minore (uno dei ragazzi era sotto i sedici anni). Il 28 dicembre venne stralciata l’accusa di corruzione di minori per mancanza di denuncia. La sentenza arrivò nel gennaio 1950: Pasolini e i due ragazzi sopra i sedici anni vennero giudicati colpevoli di atti osceni in luogo pubblico e condannati a tre mesi di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali; la pena venne interamente condonata per effetto dell’indulto. Il 28 dicembre 1950 venne prosciolto dall’accusa di corruzione di minori, ma condannato per atti osceni in luogo pubblico; il processo di appello si tenne nell’aprile 1952, si stabilì che il prato era proprietà privata e non visibile durante le ore notturne, tutti gli imputati furono perciò assolti, mentre i dirigenti del PCI di Udine, il 26 ottobre, decisero di espellerlo dal partito «per indegnità morale e politica». Fu anche sospeso dall’insegnamento, come previsto in simili casi. A questo punto aveva ormai maturato la consapevolezza di essere una sorta di “poeta maledetto”.
«La mia vita futura non sarà certo quella di un professore universitario: ormai su di me c’è il segno di Rimbaud o di Campana o anche di Wilde, ch’io lo voglia o no, che altri lo accettino o no.»
Gli anni cinquanta a Roma
Pasolini, nel gennaio 1950, si rifugiò con la sola madre, che dovette prendere servizio come cameriera, a Roma. I primi tempi a Roma furono difficili, a piazza Costaguti, dove viveva in una stanza in affitto, per il giovane che sentiva il dovere di trovare un lavoro. Grazie all’intervento del poeta dialettale abruzzese Vittorio Clemente, allora ispettore scolastico nella Capitale, Pasolini ottenne un lavoro come insegnante in una scuola privata a Ciampino, diretta dai professori Gennaro e Anna Bolotta. Sempre per cercare di sbarcare il lunario, si iscrisse al sindacato comparse di Cinecittà, e si offrì come correttore di bozze presso un giornale. Riuscì a pubblicare qualche articolo su alcuni quotidiani cattolici e continuò a scrivere i romanzi che aveva cominciato in Friuli: Atti impuri, Amado mio e La meglio gioventù. Cominciò a scrivere Ragazzi di vita e alcune pagine romane, come Squarci di notti romane, Gas e Giubileo, riprese poi in Alì dagli occhi azzurri. Dopo l’amicizia con Sandro Penna, compagno inseparabile delle passeggiate notturne sul lungotevere, conobbe nel 1951 un giovane imbianchino, Sergio Citti, che lo avrebbe aiutato ad apprendere il gergo romanesco, costituendo, come ebbe a dire lo stesso Pasolini, il suo “dizionario vivente”. Compose in questo periodo le poesie che verranno raccolte in Roma 1950 – Diario pubblicate nel 1960 da Scheiwiller e finalmente riuscì a ottenere un posto di insegnante presso una scuola media di Ciampino, dove insegnò dal 1951 al 1953, cosa che gli permise di far smettere la madre di lavorare e di affittare una casa in via Tagliere – nella borgata Rebibbia – dove li raggiunse il padre. Durante l’estate pubblicò sulla rivista Paragone il racconto Il Ferrobedò, che diventerà in seguito un capitolo di Ragazzi di vita, scrisse il poemetto L’Appennino che farà da apertura a Le ceneri di Gramsci e altri racconti romani. Partecipò al premio di poesia dialettale Cattolica (nella giuria anche Eduardo De Filippo) vincendo il secondo premio (50 000 lire) con Il testamento di Coran (ora compreso ne La meglio Gioventù). Riuscirà a vincere un premio anche i due anni successivi (premio Sette Stelle di Sinalunga e Le Quattro arti di Napoli). In questo periodo strinse amicizia con Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci grazie al quale firmerà il primo contratto editoriale per una Antologia della poesia dialettale del Novecento che uscirà nel dicembre 1952 con una recensione di Eugenio Montale. Nel 1953 prese a lavorare a un’antologia della poesia popolare, per la collana dell’editore Guanda diretta dall’amico Bertolucci, che uscirà con il titolo Canzoniere italiano nel 1955 e nel frattempo pubblicò il primo volumetto di versi friulani Tal còur di un frut. Nell’ottobre dello stesso anno uscì su “Paragone” un’altra anticipazione del futuro Ragazzi di vita e Bertolucci lo presentò a Livio Garzanti perché si impegnasse a pubblicare il romanzo. Nel 1954, in situazione di ristrettezze economiche, riesce a far pubblicare La meglio gioventù, presso l’editore Sansoni, una raccolta di poesie in friulano con una dedica a Gianfranco Contini, con cui Pasolini vinse il Premio Giosuè Carducci ex aequo con Paolo Volponi, premio storico, ancora oggi vigente, della città di Pietrasanta. Come scrive in una lettera indirizzata a Vittorio Sereni, datata 7 agosto 1954, Pasolini si trova ad accettare il Premio soprattutto “per l’urgente, odioso bisogno delle 150mila”. Risale al marzo 1954 il suo primo lavoro cinematografico che consisteva nella collaborazione con l’amico Giorgio Bassani alla sceneggiatura del film di Mario Soldati La donna del fiume. Il lavoro con il cinema gli permette di lasciare l’insegnamento e trasferirsi nell’aprile 1954 in un appartamento in via Fonteiana. Intanto Vittorio Sereni gli propone di pubblicare una raccolta di poesie nella collana per La Meridiana che curava insieme a Sergio Solmi che uscirà nel gennaio 1954 con il titolo Il canto popolare e che confluirà in seguito nell’opera Le ceneri di Gramsci.
Il romanzo Ragazzi di vita
Tra il 1955 e il 1960 Pasolini, iniziando con il successo di Ragazzi di vita, assunse un ruolo centrale nel panorama della cultura italiana. Il 13 aprile 1955 Pasolini spedì all’editore Garzanti il dattiloscritto completo di Ragazzi di vita che viene dato alle bozze. Il romanzo uscirà quello stesso anno ma il tema scabroso che trattava, quello della prostituzione omosessuale maschile, causa all’autore accuse di oscenità. Nonostante l’intervento feroce della critica (tra questi Emilio Cecchi, Asor Rosa e Carlo Salinari) e l’esclusione dal premio Strega e dal premio Viareggio, il libro ottenne un grande successo da parte del pubblico, venne festeggiato a Parma da una giuria presieduta da Giuseppe De Robertis e vinse il premio letterario “Mario Colombi Guidotti”. Nel frattempo la magistratura di Milano aveva accolto la segnalazione della presidenza del consiglio dei ministri, rappresentata da Antonio Segni, di “carattere pornografico” del libro. Il vecchio amico cosentino Francesco Leonetti gli aveva scritto dicendo che era giunto il momento di fare una nuova rivista, annunciando in questo modo quella che diventerà Officina (maggio 1955-giugno 1959), rivista che ritrova i suoi precedenti nella rivista giovanile Eredi. Il progetto della rivista, lanciato appunto da Leonetti e da Roberto Roversi (con il coinvolgimento dell’amico bolognese Gianni Scalia), procedette in quello stesso anno con numerosi incontri per la stesura del programma al quale Pasolini aderì attivamente. Sempre nel 1955 uscì l’antologia della poesia popolare, Canzoniere italiano con una dedica al fratello Guido e in luglio Pasolini si recherà a Ortisei con Giorgio Bassani per lavorare alla sceneggiatura del film di Luis Trenker Il prigioniero della montagna. Questo è il periodo in cui cinema e letteratura cominciano a procedere su due binari paralleli come scrive Pasolini stesso a Contini:
«Procedo parallelo per due binari speriamo verso nuove stazioni. Non ne inorridisca come fanno i letterati mediocri qui a Roma: ci senta un po’ di eroismo.»
Continuava nel frattempo la polemica della critica marxista a Ragazzi di vita e Pasolini pubblicò sul numero di aprile della nuova rivista Officina un articolo contro Carlo Salinari e Antonello Trombadori che scrivevano sul Contemporaneo. A luglio si tenne a Milano il processo contro Ragazzi di vita che terminerà con una sentenza di assoluzione con “formula piena”, grazie anche alle testimonianze di Pietro Bianchi e Carlo Bo, che aveva dichiarato il libro essere ricco di valori religiosi “perché spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati” e non contenente oscenità perché “i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà”, e di Giuseppe Ungaretti, che inviò una lettera firmata ai magistrati che si occupavano del caso Ragazzi di vita dicendo loro che si trattava di un abbaglio clamoroso perché il romanzo di Pasolini era semplicemente la cosa più bella che si poteva leggere in quegli anni. Pasolini si dichiarava razionalmente ateo e anticlericale ma « […] io so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io con i miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono nel mio patrimonio, nel contenuto e nello stile.»
Cineasta e letterato
Nel mese di agosto scrisse la sceneggiatura per il film di Mauro Bolognini, Marisa la civetta, e contemporaneamente collaborò con Federico Fellini alle Notti di Cabiria. Alternando il suo impegno di cineasta con quella di letterato, scrisse, in questo periodo, articoli di critica sul settimanale Il Punto (la prima recensione sarà per La Bufera di Montale) e assistette i nuovi giovani scrittori di Officina, come Arbasino, Sanguineti e Alfredo Giuliani, che emergeranno in seguito nel Gruppo ’63. Fece nuove amicizie tra le quali si annovera quella con Laura Betti, Adriana Asti, Enzo Siciliano, Ottiero Ottieri, Cecilia Mangini. Ispirato dalla crisi ideologica e politica in atto (il rapporto Kruscev al “XX Congresso” del Partito comunista sovietico aveva segnato il rovesciamento dell’epoca staliniana mettendo in evidenza il contrasto con quanto era successo in Polonia e in Ungheria), il 1956 sarà l’anno della stesura definitiva delle “Ceneri di Gramsci” e della prima bozza del romanzo Una vita violenta. Il dattiloscritto de Le ceneri di Gramsci, composto da undici poemetti scritti tra il 1951 e il 1956, venne spedito da Pasolini a Garzanti nell’agosto 1957. L’opera, come già era successo per Ragazzi di vita, accese un contrastato dibattito critico ma ebbe un forte impatto sul pubblico che in quindici giorni esaurì la prima edizione. Al premio Viareggio, che si tenne nell’agosto di quell’anno, il libro venne premiato insieme al volume Poesie di Sandro Penna, e Quasi una vicenda, di Alberto Mondadori. Italo Calvino aveva già espresso, con dure parole, il suo giudizio nei confronti del disinteresse di alcuni critici marxisti sostenendo che per la prima volta “in un vasto componimento poetico viene espresso con una straordinaria riuscita nell’invenzione e nell’impiego dei mezzi formali, un conflitto di idee, una problematica culturale e morale di fronte a una concezione del mondo socialista”. Nel settembre 1958, in veste di inviato speciale, si recò a Mosca al Festival della gioventù mentre presso l’editore Longanesi uscirono i versi de L’usignolo della Chiesa cattolica. Lavorò anche alacremente a Una vita violenta, scrisse la sua prima autonoma sceneggiatura, La notte brava, e collaborò con Bolognini a “Giovani mariti”. Il 19 dicembre 1958 muore suo padre, Carlo Alberto: l’evento coincide con una crisi del rapporto di Pasolini con la comunità degli intellettuali, sancito dalla traumatica fine della rivista Officina e un conseguente impegno di Pasolini nel cinema con una riduzione della sua produzione letteraria.
Il romanzo Una vita violenta
Nel dicembre 1958 terminò Una vita violenta che consegnerà all’editore Garzanti nel marzo 1959 e, alla fine di un lungo lavoro di “autocensura” reso necessario soprattutto per un episodio considerato dall’editore pericoloso dal punto di vista politico, il libro uscirà a maggio dello stesso anno ma, come già successo per Ragazzi di vita, non otterrà né il premio Viareggio né quello Strega. Apprezzato e stimato comunque da un consistente gruppo di letterati otterrà il “premio Crotone” da una giuria composta da Ungaretti, Debenedetti, Alberto Moravia, Gadda e Bassani. Il lavoro di sceneggiatore gli permette di cambiare appartamento, nel giugno 1959, da via Fonteiana a via Giacinto Carini, dove abitava anche Bernardo Bertolucci. Durante l’estate Pasolini fece un viaggio giornalistico lungo le coste italiane come inviato del mensile Successo e scrisse tre puntate dal titolo La lunga strada di sabbia. Il sindaco democristiano di Cutro querelò Pasolini per diffamazione a mezzo stampa a causa della descrizione del suo paese nel servizio, cinque giorni dopo la consegna del “premio Crotone”, città governata allora dal partito comunista; la querela venne archiviata. Tradusse l’Orestiade di Eschilo per la compagnia teatrale di Vittorio Gassman e riordinò i versi che compongono La religione del mio tempo. L’Azione Cattolica nel frattempo aveva provveduto a sporgere denuncia “per oscenità” alla magistratura per Una vita violenta, denuncia che verrà però subito archiviata. Nell’anno 1960 Pasolini cominciò a collaborare a Vie nuove, a scrivere le bozze del libro di saggi Passione e ideologia, e raccolse i versi de La religione del mio tempo.
Gli anni sessanta
Nel 1960 uscirono due volumi di vecchi versi, Roma 1950 – Diario e Sonetto primaverile. Prima del Capodanno del 1961 partì per l’India con Alberto Moravia e Elsa Morante e il viaggio gli fornirà il materiale per scrivere una serie di articoli per Il Giorno che andranno a formare il volume L’odore dell’India. A maggio venne pubblicata la raccolta La religione del mio tempo, molto apprezzata dall’amico Franco Fortini che gli scriverà: “Vorrei che fossi qui per abbracciarti”. Dal 4 giugno 1960 fino al 30 settembre 1965 tenne, su invito di Antonello Trombadori, una rubrica Dialogo con i lettori sul popolare settimanale comunista Vie Nuove. In quello stesso anno si dedicò al suo amore per il cinema scrivendo le sceneggiature de La giornata balorda di Bolognini, Il carro armato dell’8 settembre per Gianni Puccini, La lunga notte del ’43 per Florestano Vancini tratto dal racconto di Bassani e Il bell’Antonio, tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati. Si era intanto prospettato alla sua mente il progetto di scrivere un film in proprio con un soggetto dal titolo La commare secca, ma i fatti di luglio, con i drammatici giorni del governo Tambroni, gli faranno mettere da parte il progetto per scrivere il soggetto di Accattone. Pasolini provò a proporre il soggetto alla casa di produzione dell’amico Fellini, la Federiz. Fellini gli chiese di girare due intere scene di prova, ma il girato non piacque alla produzione che lo rifiutò. L’amico Bolognini gli trovò un produttore, Alfredo Bini (a cui si associò Cino del Duca), al quale Pier Paolo spiegò come voleva fosse girato il film: molti primi piani, prevalenza dei personaggi sul paesaggio e soprattutto grande semplicità. Protagonista sarà Franco Citti, il fratello di Sergio e aiuto regista Bernardo Bertolucci al suo primo film. Le riprese del film Accattone furono ultimate nel luglio 1961, il film non ottenne il visto della censura per la proiezione nelle sale italiane, ma verrà lo stesso presentato, il 31 agosto 1961 alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, fuori concorso. Non particolarmente apprezzato dalla critica italiana, a Parigi, dove venne presto proiettato, ricevette invece il giudizio entusiastico di Marcel Carné e di André Chamson. Dopo la tempestosa accoglienza alla Mostra di Venezia, Accattone divenne il primo film italiano a ottenere il divieto ai minori di anni 18. La prima del film a Roma, al cinema Barberini, il 23 novembre 1961, vide l’irruzione di un gruppo di neofascisti che interruppe la proiezione, aggredendo gli spettatori e vandalizzando la sala. Nel 1961 sul nº 1, a pag. 7, del Pioniere venne pubblicato un racconto dal titolo Biciclettone. I grandi racconti del Pioniere. Nell’autunno 1961 si recò al Circeo nella villa di un’amica per scrivere insieme a Sergio Citti la sceneggiatura del film Mamma Roma la cui lavorazione verrà programmata per la primavera del 1962, annoverando fra gli interpreti Anna Magnani.
Denunce e processi
Nel corso della sua vita Pasolini subì 33 processi giudiziari. Il 30 giugno 1960 Pasolini venne convocato in commissariato per ricevere una denuncia della polizia per favoreggiamento personale perché aveva dato un passaggio a due ragazzi di Trastevere che erano stati coinvolti in una rissa. Ne risulterà innocente. Il 22 novembre 1961 la polizia perquisì, senza risultato, il suo appartamento in cerca di una pistola con cui Pasolini avrebbe rapinato, il 18 sera, un distributore di benzina di San Felice Circeo, tale Bernardo de Santiis, da cui prenderà nome il processo. Il 30 novembre Il Tempo uscì a tutta pagina con un articolo Denunciato per tentata rapina Pier Paolo Pasolini con una foto di scena che lo ritraeva con un mitra in mano. Il processo che ne seguì si svolse il 3 luglio a Latina e condannò Pasolini per “minaccia con arma”. Successivamente la corte d’appello di Roma dichiara di non doversi procedere contro Pasolini per estinzione del reato intervenuta per amnistia; il successivo ricorso in cassazione termina con un’assoluzione per mancanza di prove.
Il romanzo Il sogno di una cosa
Terminò nel frattempo il romanzo del periodo friulano, Il sogno di una cosa, che verrà pubblicato in maggio e tra aprile e giugno lavorò alle riprese di Mamma Roma che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia il 31 agosto 1962 ottenendo un grande successo e una denuncia per oscenità poi archiviata. Alla prima di Mamma Roma, il 22 settembre 1962, al cinema Le quattro fontane di Roma, viene aggredito da un gruppo di neofascisti e interviene la polizia. Durante il settembre di quello stesso anno Pasolini partecipò a un convegno che si tenne alla Cittadella di Assisi ed ebbe occasione di leggere il Vangelo di San Matteo. Da questa lettura nacque l’idea di produrre un film. Nel frattempo partecipò, con il produttore Bini, al film a episodi Ro.Go.Pa.G. insieme a Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard e Ugo Gregoretti e in quell’occasione pensò di ricavare un mediometraggio, girato nell’autunno del 1962, su una ricostruzione cinematografica della Passione di Cristo scritta durante la lavorazione di Mamma Roma dal titolo La ricotta che uscirà il 1º marzo 1963 accolto da un pubblico poco partecipe e che verrà sequestrato lo stesso giorno della sua uscita con l’accusa di “vilipendio alla religione di Stato”. Il processo, che verrà tenuto a Roma tra il 6 e il 7 marzo, condannò Pasolini a quattro mesi di reclusione per essere “colpevole del delitto ascrittogli” e il film venne sequestrato fino al dicembre dello stesso anno. Come scriverà Alberto Moravia su L’Espresso:
«L’accusa era quella di vilipendio alla religione. Molto più giusto sarebbe stato incolpare il regista di aver vilipeso i valori della piccola e media borghesia italiana.»
Nel marzo 1963 acquistò una casa in via Eufrate, all’EUR, dove si trasferì con la madre, in maggio. Quasi contemporaneamente a La Ricotta, Pasolini gira la prima parte del docufilm La rabbia (1963), formato dal montaggio di pezzi di cinegiornali commentati con suoi testi in forma lirica e in prosa; la seconda parte de La rabbia sarà firmata da Giovannino Guareschi. Pasolini, visionato il film, ritirò la firma e cercò di impedirne la distribuzione ritenendosi vittima di una manovra del produttore Gastone Ferrante. il film, uscito in poche sale nell’aprile 1963, ebbe scarso successo e fu ritirato quasi subito. Continuò intanto a tenere i contatti con la Cittadella di Assisi e nel febbraio cominciò le ricerche filologiche e storiche per poter realizzare il progetto di girare un film che avesse come soggetto il Vangelo. Insieme al biblista Andrea Carraro e una troupe di tecnici compì viaggi in Israele e Giordania per trovare i luoghi e le persone adatte per la realizzazione del film. Il personaggio più difficile da trovare fu il Cristo che Pasolini volle dai lineamenti forti e decisi. Dopo averlo cercato nel poeta Evtusenko, trovò per caso, poco prima delle riprese, uno studente spagnolo, Enrique Irazoqui, dal volto fiero e distaccato simile ai Cristi dipinti dal Goya o da El Greco, e comprese di aver trovato la persona giusta. Contemporaneamente alla preparazione dei film, tra marzo e novembre 1963, Pasolini realizzò un film-inchiesta sulla sessualità degli italiani dal titolo Comizi d’amore. Cominciò a scrivere La Divina Mimesis, tentativo incompiuto di rifacimento critico della Divina Commedia di Dante, il rifacimento in romanesco del Miles gloriosus di Plauto che intitolerà Il Vantone e su richiesta di Elio Vittorini presentò alcune poesie sulla rivista Il Menabò e la Notizia su Amelia Rosselli. Nel maggio 1964 pubblicò la quarta raccolta di versi italiani Poesia in forma di rosa e il 24 aprile cominciarono le riprese de Il Vangelo secondo Matteo che verranno concluse all’inizio dell’estate. L’opera fu girata nei paesaggi rupestri di Matera e Massafra utilizzando moltissime comparse locali. Il film, presentato il 4 settembre 1964 alla Mostra del cinema di Venezia e poi diffuso in tutti i paesi europei, ottenne un grande successo di pubblico e partecipò alla prima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. In quella occasione Pasolini conobbe Roland Barthes. Nell’ottobre 1965 cominciarono le riprese del nuovo film Uccellacci e uccellini che trattava il tema della crisi politica del PCI e del marxismo in chiave “ideocomica”. Tra gli attori compariranno Totò e il giovane Ninetto Davoli. Totò era stato scelto perché il film, che si svolgeva tra il reale e il surreale, aveva bisogno di un attore che fosse un po’ clown. I titoli di testa e di coda del film sono cantati da Domenico Modugno. Nel novembre 1965 uscì anche la raccolta narrativa con il titolo suggerito da Sartre Alì dagli occhi azzurri che conteneva nella parte centrale le sceneggiature de La notte brava, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, mentre la prima e l’ultima parte era costituita da racconti che risalivano agli anni cinquanta e dagli abbozzi dei romanzi Il Rio della grana e La Mortaccia. In quell’anno fu invitato da Alberto Moravia e Alberto Carocci, che era stato direttore di Solaria, a dirigere con loro la nuova serie della rivista Nuovi Argomenti e, alla fine dell’anno, dopo aver progettato l’uscita di un nuovo film con Totò e la regia di un’opera lirica alla Piccola Scala di Milano, partirà per un viaggio in Nordafrica. Già sofferente di ulcera, nel marzo 1966, Pasolini, venne colpito da una forte emorragia che lo costrinse a letto per quasi un mese. Sarà l’occasione di rileggere con calma i Dialoghi di Platone che lo stimoleranno a scrivere un teatro simile alla prosa, nella convalescenza scriverà l’impianto delle sei tragedie che compongono la sua opera teatrale: Calderón, Pilade, Affabulazione, Porcile, Orgia e Bestia da Stile. Terminata la convalescenza lavorò a Bestemmia, un romanzo sotto forma di sceneggiatura in versi, e abbozzò Orgia e Bestia da stile e tra maggio e giugno lavorò ad alcuni drammi che voleva rappresentare all’estero. Per l’estate del 1966 si comprò una Maserati 3500 GT di seconda mano, con cui trascorse le vacanze estive in Carnia con la madre Susanna. Intanto, al Festival di Cannes che si tenne il 3 maggio, il film Uccellacci e uccellini ebbe grande successo e l’intervento positivo di Roberto Rossellini durante la conferenza stampa suscitò grande interesse. Tra la primavera e l’estate del 1966 scrisse la bozza dei film Teorema e l’Edipo re oltre a elaborare altri drammi: Pilade, Porcile e Calderón. Nell’ottobre 1966 si recò a New York per la presentazione di Uccellacci e uccellini a un festival cinematografico. Conobbe in quell’occasione Allen Ginsberg. All’inizio di ottobre si recò in Marocco per studiare l’ambientazione dell’Edipo re e a novembre girò un episodio del film Le streghe, dal titolo La Terra vista dalla Luna, con Silvana Mangano, Totò e Ninetto Davoli. Di ritorno da un secondo viaggio in Marocco realizzò, in una sola settimana, le riprese dell’episodio Che cosa sono le nuvole? del film Capriccio all’italiana, ancora con Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Domenico Modugno. In aprile ebbero inizio le riprese dell”Edipo re nei deserti rossi del Marocco del Sud che continueranno, per alcune scene, nella pianura di Lodi e per il finale nella città di Bologna. Il film, che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel settembre 1967, non ebbe successo in Italia, mentre ottenne il favore del pubblico e della critica in Francia e in Giappone. Nello stesso anno scrisse saggi di teoria e tecnica cinematografica che verranno raccolti nel 1972 in Empirismo eretico. Il 26 ottobre dello stesso anno intervistò nella sua casa veneziana il poeta Ezra Pound, allora di 83 anni, per conto della Rai. I due discussero della Neoavanguardia italiana e dell’arte, quindi Pasolini lesse alcuni versi dalla traduzione italiana dei Canti pisani.
Il Sessantotto
Nel marzo 1968 venne dato alle stampe il romanzo Teorema, che sarà trasformato successivamente nel soggetto di un film, girato nella primavera dello stesso anno, che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia il 4 settembre, alla critica, e che vincerà il secondo premio della carriera di Pasolini, il “premio OCIC” (Office Catholique International du Cinéma, organizzazione cattolica che si occupa di cinema). Gli autori, tra cui Pasolini, Francesco Maselli e Cesare Zavattini, contestarono la Mostra del cinema di Venezia evidenziando come fosse una rassegna di “produttori” e non di “autori” e occuparono la Sala Volpi, solo l’intervento della polizia, il 26 agosto, permise la ripresa del festival. Jean Renoir, che assistette alla prima, dirà a un giornalista: À chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d’un artiste (In ogni immagine, in ogni scena si sente il turbamento di un artista). Il 13 settembre la procura di Roma ordinò il sequestro del film per oscenità. In seguito ai celebri scontri di Valle Giulia, scoppiati tra i reparti della polizia che avevano occupato preventivamente la facoltà romana di Architettura e giovani studenti, Pasolini scrisse la poesia Il P.C.I. ai giovani!! che, destinata alla rivista Nuovi Argomenti, uscì senza preavviso su L’Espresso scatenando una forte polemica. Nella poesia Pasolini si rivolge ai giovani dicendo che la loro è una falsa rivoluzione e che essi sono solamente dei borghesi conformisti, strumenti nelle mani della nuova borghesia.
«Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli… La borghesia si schiera sulle barricate contro sé stessa, i “figli di papà” si rivoltano contro i “papà”. La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l’idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale.» (Tavola rotonda organizzata da L’Espresso, il 16 giugno 1968 sulla poesia di Pier Paolo Pasolini ll Pci ai giovani)
Autore di canzoni
A partire dagli anni sessanta Pier Paolo Pasolini fu anche autore di canzoni, cercando un collegamento tra la poesia e la canzone d’autore. Le prime canzoni furono scritte su musiche di Piero Umiliani, Franco Nebbia e Piero Piccioni, e vennero incise da Laura Betti nel 1961, si tratta di Macrì Teresa detta Pazzia, Il valzer della toppa, Cocco di mamma e Cristo al Mandrione. Il valzer della toppa venne in seguito reincisa da Gabriella Ferri, che la inserì nel 1973 nel suo album Sempre, mentre Cristo al Mandrione fu reinterpretata da Grazia De Marchi e, nel 1997, dalla Ferri nel suo album Ritorno al futuro. Nel 1963 collaborò con Sergio Endrigo, per cui preparò un testo utilizzando alcuni versi tratti dalla raccolta La meglio gioventù; la canzone che nasce è Il soldato di Napoleone, contenuta nel primo 33 giri del cantautore istriano. Nel 1967 collaborò con Domenico Modugno, scrivendo il testo di Che cosa sono le nuvole:
«Recitai nell’episodio Cosa sono le nuvole, e dal titolo del film nacque anche una canzone, che scrivemmo insieme. È una canzone strana: mi ricordo che Pasolini realizzò il testo estrapolando una serie di parole o piccole frasi dell’Otello di Shakespeare e poi unificando il tutto.»
La canzone è poi stata reinterpretata nel 1996 da Giancarlo Onorato nell’album Il Velluto Interiore, nel 1997 dagli Avion Travel nell’album Vivo di canzoni, nel 2006 da Stefano Bollani nell’album I visionari e nel 2007 da Paolo Benvegnù. Modugno aveva già lavorato con Pasolini l’anno precedente, cantando i titoli di testa e coda del film Uccellacci e uccellini, che il regista aveva scritto in forma letteraria su musica di Ennio Morricone. Nel 1968 collaborò con il gruppo di rock psichedelico Chetro & Co., per cui scrisse il testo della canzone Danze della sera (suite in modo psichedelico), adattandolo da una sua poesia intitolata Notturno.
Fine anni sessanta, tra teatro e cinema
Nell’estate 1968 Pasolini girò La sequenza del fiore di carta, con Ninetto Davoli, tratto dalla parabola evangelica del fico infruttuoso che uscirà nel 1969, come terzo episodio del film “Amore e rabbia”. Pubblicò intanto su Nuovi Argomenti un saggio dal titolo Manifesto per un nuovo teatro in cui dichiarava il suo completo rifiuto del teatro italiano. Il 27 novembre 1968 rappresentò, al Deposito del Teatro Stabile di Torino, Orgia che venne accolta malamente dal pubblico e dai critici e, nel novembre 1968, ebbero inizio le riprese di Porcile. Porcile ha come sfondo, per il suo episodio “metastorico”, l’Etna ed era stato pensato da Pasolini già nel 1965 quando aveva visto il film di Buñuel, Intolleranza: Simon del deserto. In seguito, per girare l’episodio moderno, la troupe si sposterà per le riprese a Villa Pisani a Stra. Dopo Porcile, che l’autore ritenne “il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente”, realizzò Medea e chiamò per interpretarlo Maria Callas. Le riprese del film vennero girate in Cappadocia, a Grado, a Pisa. La Callas e Pasolini strinsero un fortissimo legame di amicizia. Durante la lavorazione del film compì un viaggio in Uganda e Tanzania per cercare i luoghi dell’ambientazione del film che pensava di girare subito dopo Porcile: Appunti per un’Orestiade africana.
Gli anni settanta
In questi anni l’opera di Pasolini si allontanò ulteriormente dalle forme della cultura tradizionale per aumentare le occasioni di espressione su vari giornali e riviste. Nell’autunno del 1970, acquistò la Torre di Chia, nei pressi di Soriano nel Cimino, dove fece costruire un appartamento-rifugio per due. Il sito era stato scoperto da Pasolini nella primavera del 1964, dopo aver visionato molti luoghi, per ricostruire la scena del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano nel film Il Vangelo secondo Matteo. Scrisse una recensione molto critica su Nuovi Argomenti a Satura di Montale, che gli rispose in versi nella Lettera a Malvolio e in aprile uscì la sua ultima raccolta di poesie Trasumanar e organizzar, accolta da lettori e critici distratti. All’inizio del 1971 realizzò un documentario, dal titolo 12 dicembre, con la collaborazione di alcuni militanti di Lotta Continua sul tema della strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano e a marzo presta il suo nome come direttore responsabile dello stesso quotidiano. Ad aprile venne denunciato per “istigazione a delinquere e apologia del reato” per un supplemento sulle forze armate di Lotta Continua, Proletari in divisa, essendo nel frattempo divenuto direttore responsabile del periodico.
La Trilogia della vita
Durante l’estate del 1970 scrisse la sceneggiatura di dieci novelle tratte, tra quelle tragico-comiche, dal Decameron che ambienterà nel mondo napoletano. Il Decameron voleva essere il primo film del trittico che Pasolini dedicava alla Trilogia della vita. Seguiranno infatti I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte, i veri successi di pubblico di Pasolini. Nel settembre dello stesso anno cominciò a girare a Casertavecchia le prime riprese per proseguire, con Ser Ciappelletto, a Napoli e a Bressanone. Si accinse poi a scrivere la sceneggiatura dei I racconti di Canterbury tratti da Chaucer e il 28 giugno al Festival di Berlino, Il Decameron ottenne l’Orso d’argento e più di 30 denunce in tutta Italia. Nove settimane, dal settembre al novembre 1971, furono impegnate per le riprese nel Regno Unito de I racconti di Canterbury. Nel 1972, durante l’estate, senza attendere che il film uscisse nelle sale, cominciò a lavorare alla terza parte della trilogia tratta dalle novelle delle Mille e una notte e fece diversi sopralluoghi in Egitto, in Giordania, in Guinea, in India e in Ghana. I Racconti di Canterbury vinse l’Orso d’oro al festival di Berlino, ma venne stroncato dalla critica internazionale e ripetutamente sequestrato in Italia. Il 2 settembre 1972 veniva proiettato in prima nazionale presso il cinema Comunale di Benevento il film I Racconti di Canterbury, ispirato all’omonima opera letteraria di Geoffrey Chaucer. La pellicola suscitò sentimenti di indignazione e disapprovazione fra il pubblico che vennero riversati in numerose denunce. Ne scaturì una vicenda giudiziaria innanzi al tribunale di Benevento, competente per territorio, che vedeva imputati del delitto di spettacolo osceno Pasolini unitamente al produttore, Grimaldi Aldo, ed al gestore del cinema Comunale, Jannelli Salvatore. In data 20 ottobre 1972 il tribunale di Benevento in composizione collegiale (presidente ed estensore dott. Daniele Cusani, giudici dott. Alfonso Bosco e Bruno Rotili) assolse gli imputati dall’imputazione loro ascritta perché il fatto non costituiva reato, ordinando la restituzione del film sequestrato e riconoscendo allo stesso il valore di opera d’arte. Nel 1973 cominciarono nel frattempo le riprese de Il fiore delle mille e una notte a Esfahan, in Iran. Il lavoro procedette con precisione e velocità tanto che l’autore riuscì a girare nel frattempo un documentario, Le mura di Sana, che voleva essere un appello all’UNESCO perché salvaguardasse l’antica città yemenita. Il fiore delle Mille e una notte uscì nelle sale all’inizio del 1974, vincendo il Grand Prix Spécial du Jury, al Festival di Cannes, e ottenne un gran successo, anche se il giudizio della critica non soddisfece l’autore. Le sceneggiature della “Trilogia della vita” vennero pubblicate nel 1975 con alcune pagine di introduzione titolate Abiura dalla Trilogia della vita dove prese le distanze dalle sue opere precedenti.
Il romanzo Petrolio e gli scritti tra il 1972 e il 1975
Nel 1972, accolto da indifferenza da parte della critica, pubblicò la raccolta di saggi Empirismo eretico e continuò a lavorare, rifugiandosi nella torre Chia, al romanzo Petrolio, pubblicato postumo nel 1992, del quale, in tre anni, aveva compilato più di 500 pagine dattiloscritte e che pensò dovesse impegnarlo “forse per il resto della mia vita”. Nel 1973 interruppe i rapporti con l’editore Garzanti e accettò le offerte di Giulio Einaudi. Nel settembre dello stesso anno uscirono due testi per il teatro, Orgia e Affabulazione. Alla fine del 1973 lo scrittore aveva già in mente il progetto, di cui rimangono solo qualche decina di pagine, per un nuovo film dal titolo provvisorio Porno-Teo-Kolossal al quale avrebbe dovuto partecipare tra i protagonisti Eduardo De Filippo. Il progetto venne rinviato. Durante l’estate del 1974 scrisse una lunga appendice al dramma in versi Bestia da stile.
«L’Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c’è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra, soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra.»
Nel maggio 1975 vide le stampe La nuova gioventù, che era una riproduzione dell’opera La meglio gioventù, e durante l’estate Pasolini lavorò al montaggio di Salò, che fu presentato, dopo la sua morte, il 22 novembre 1975 al festival di Parigi. A ottobre consegnò a Einaudi La Divina Mimesis. Si recò quindi a Stoccolma per un incontro all’Istituto italiano di cultura e al ritorno si fermò a Parigi per rivedere l’edizione francese di Salò: il 31 ottobre ritornò a Roma. Pasolini scrisse quindi quello che diverrà il suo ultimo documento pubblico. Si tratta del testo dell’intervento che avrebbe dovuto tenere in quei giorni al 15º Congresso del Partito Radicale:
«Contro tutto questo voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare.» (Testo dell’intervento di Pier Paolo Pasolini preparato per il 15º congresso del Partito Radicale)
Gli Scritti corsari
Nel novembre 1972 cominciò a collaborare con il settimanale Tempo, occupandosi di recensioni letterarie che usciranno nel volume postumo, Descrizioni di descrizioni. All’inizio del 1973 passò al Corriere della Sera, allora diretto da Piero Ottone e da Gaspare Barbiellini Amidei, e il 7 gennaio uscì il primo articolo, Contro i capelli lunghi, che avviò un’ininterrotta serie di interventi riguardo all’ambito politico, al costume, al comportamento pubblico e privato: questi articoli saranno raccolti nel volume Scritti corsari. In seguito al referendum sul divorzio, pubblicò, il 10 giugno 1974, sul Corriere, l’articolo Gli italiani non sono più quelli, che scatenò dure polemiche con Maurizio Ferrara e Italo Calvino. Pasolini dedicò all’operato politico dei Radicali una certa attenzione, pur mantenendo inalterata la sua posizione contraria non tanto alla legalizzazione dell’aborto in sé, quanto al conformismo che, riguardo a questa tematica, si traduceva in quello che lui definisce “fanatico abortismo” , anche se “in una situazione pratica avrebbe scelto il male minore cioè l’aborto” (divorzio e aborto erano invece propugnati con forza proprio dal PR). Tra il 1974 e il 1975 scrisse alcuni pezzi, sul Corriere della Sera e su altri quotidiani, dedicati alle battaglie radicali e agli scioperi della fame di Marco Pannella, tra cui il famoso articolo Il fascismo degli antifascisti (uscito sul Corriere della Sera del 16 luglio 1974). Il 14 novembre 1974, pubblicò sul Corriere della Sera l’articolo Cos’è questo golpe? Io so, in cui accusava la Democrazia Cristiana e gli altri partiti suoi alleati nel governo di essere i veri mandanti delle stragi, a partire da piazza Fontana. Il 19 gennaio 1975 uscì sul Corriere della Sera il suo articolo Sono contro l’aborto, che suscitò altre polemiche. Scrisse alcuni articoli sul settimanale Il Mondo che andranno a far parte del volume postumo Lettere luterane, tra cui l’ultimo suo scritto pubblicato in vita, il 30 ottobre 1975. Nel mese di maggio uscì il volume Scritti corsari che raccoglieva tutti gli articoli scritti per i quotidiani Corriere della Sera, Tempo illustrato, Il Mondo, Nuova generazione e Paese Sera, tra il 1973 e il 1975, e che comprendeva una sezione di documenti allegati, redatti da vari autori e alcuni scritti di critica che erano apparsi sul settimanale Tempo dal 10 giugno al 22 ottobre 1974. In una lettera del 3 ottobre 1975 indirizzata a Gianni Scalia, Pasolini comprendeva l’urgenza di mettere in termini di economia politica quello che scriveva sul Corriere della Sera e chiedeva all’amico di aiutarlo in questa fatica. Questo progetto rimase naturalmente solo sulla carta.
Il film Salò o le 120 giornate di Sodoma
Interessato al progetto del film tratto dal romanzo di Sade si mise a studiare intensamente il kantiano “male radicale” che riduce l’umanità nella schiavitù del consumismo e che corrompe, manipolandole, le anime insieme ai corpi (precedentemente definiti “una terra ancora non colonizzata dal potere”). Ai primi di febbraio 1975 terminò la sceneggiatura del film che non sarà mai realizzato, Il padre selvaggio, e a metà dello stesso mese cominciarono nel mantovano le riprese di Salò o le 120 giornate di Sodoma, ultimo film scritto e diretto da Pasolini, che verrà presentato al pubblico quando l’autore sarà già morto da tre settimane. Il 12 settembre 2015, in occasione del 72º festival di Venezia, il film verrà premiato nella categoria classici come miglior film restaurato.
La morte e il processo
«La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile.» (Alberto Moravia)
La notte del 2 novembre 1975 Pasolini, all’età di 53 anni, fu brutalmente assassinato, venendo percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, località del comune di Roma. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6:30 circa; sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Dell’omicidio fu incolpato Giuseppe “Pino” Pelosi, diciassettenne di Guidonia Montecelio, già noto alle forze dell’ordine come ladro di auto e “ragazzo di vita”, fermato la notte stessa alla guida dell’auto dello scrittore. Pelosi affermò di essersi trovato in piazza dei Cinquecento, di fronte alla stazione Termini, insieme a tre amici più grandi; dopo che era entrato nel bar Dei, Pasolini lo avrebbe avvicinato invitandolo a salire a bordo della sua automobile, un’Alfa Romeo Giulia 2000 GT Veloce, dietro la promessa di un compenso in denaro. Dopo una cena offerta dallo scrittore nella trattoria Biondo Tevere, nei pressi della basilica di San Paolo, i due si diressero alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per alcune pretese sessuali di Pasolini che Pelosi non voleva soddisfare, degenerata in un alterco fuori dalla vettura. Il giovane sarebbe stato quindi colpito dallo scrittore con un bastone, del quale poi si sarebbe impadronito per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito ma ancora vivo. Pelosi quindi sarebbe salito a bordo dell’auto di Pasolini e avrebbe travolto più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la gabbia toracica e provocandone la morte. Gli abiti di Pelosi non mostrarono tracce di sangue. Pelosi venne condannato in primo grado per “omicidio volontario in concorso con ignoti” e il 4 dicembre 1976, con la sentenza della Corte d’Appello che, pur confermando la condanna dell’unico imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell’omicidio. Gravemente malato, Pelosi è morto il 20 luglio 2017, all’età di 59 anni.
Sostenitori del complotto
Due settimane dopo il delitto apparve un’inchiesta su L’Europeo con un articolo di Oriana Fallaci, che ipotizzava una premeditazione e il concorso di almeno altre due persone. Un giornalista de L’Europeo ebbe alcuni colloqui con un ragazzo che, tra molte esitazioni e alcuni momenti di isteria, avrebbe dichiarato di aver fatto parte del gruppo che aveva massacrato il poeta; il giovane, tuttavia, dopo un’iniziale collaborazione, avrebbe rifiutato di proseguire oltre o fornire altre informazioni, dileguandosi dopo aver lasciato intendere di rischiare la vita confessando la propria partecipazione e concludendo che non sarebbe stata intenzione del gruppo uccidere il poeta, ma che si sarebbe trattato di una rapina degenerata, concludendo je volevamo solà er portafoglio (“volevamo rubargli il portafoglio”). Diversi abitanti delle numerose abitazioni abusive esistenti in via dell’Idroscalo confidarono in seguito alla stampa di aver sentito urla concitate e rumori – indizio della presenza di ben più di due persone sul posto – e invocazioni disperate di aiuto da parte di Pasolini la notte del delitto, ma senza che alcuno fosse intervenuto in suo soccorso. Sembra che la zona non fosse ignota a Pasolini, che già varie volte vi si era recato con altri partner e addirittura, stando a quanto la Fallaci affermò, avrebbe talvolta affittato per qualche ora una delle abitazioni del posto per trascorrervi momenti di intimità. Nella sua biografia su Pasolini, Enzo Siciliano, sostiene che il racconto di Pelosi presentava delle falle, perché il bastone di legno – in realtà, una tavoletta di legno utilizzata precariamente per indicare il numero civico e l’abitazione di una delle baracche – a lui sembrava marcita per l’umidità e troppo deteriorata per costituire l’arma contundente che aveva causato le gravissime ferite riscontrate sul cadavere del poeta e rimarcando l’impossibilità, per un giovane minuto come Pelosi, di sopraffare un uomo agile e forte come Pasolini senza presentare né tracce della presunta lotta, né macchie di sangue sulla sua persona o sugli indumenti. Il film Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, uscito nel ventennale del delitto, è sceneggiato come un’inchiesta e arriva alla conclusione che Pelosi non fosse solo. Lo stesso Giordana però ha precisato, in un’intervista al Corriere della Sera, che non intendeva sostenere a tutti i costi la matrice politica nel delitto. Ha dichiarato inoltre di non escludere altre possibilità, per esempio quella di un incontro omosessuale di gruppo degenerato in violenza. Pelosi, dopo aver mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza per trent’anni, fino al maggio 2005, a sorpresa, nel corso di un’intervista televisiva a Ombre sul giallo di Franca Leosini, ha affermato di non essere l’esecutore materiale dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini e ha dichiarato che l’omicidio era stato commesso da altre tre persone, giunte su un’autovettura targata Catania, che a suo dire parlavano con accento “calabrese o siciliano” e, durante il massacro, avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli jarrusu (termine gergale siciliano, utilizzato in senso dispregiativo nei confronti degli omosessuali). E, infatti, era giunta a suo tempo alle autorità una lettera anonima in cui si affermava che, la sera della morte di Pasolini, la sua auto era stata seguita da una Fiat 1300 targata CT di cui erano indicate le prime quattro cifre, ma nessuno si preoccupò mai di effettuare una verifica presso il Pubblico registro automobilistico. Pelosi ha poi fatto i nomi dei suoi presunti complici solo in un’intervista del 12 settembre 2008, pubblicata sul saggio d’inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza Profondo Nero (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa rivelazione per timore di mettere a rischio l’incolumità della propria famiglia, ma di sentirsi adesso libero di parlare, dopo la morte dei genitori. A trent’anni dalla morte, assieme alla ritrattazione di Pelosi, è emersa la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell’ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morì per cause naturali alcune settimane dopo. Un’ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla “lotta di potere” che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi “chiave”, assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l’alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso. Una relazione della Commissione Parlamentare Antimafia della XVIII legislatura, pur riconoscendo che “appaiono ormai del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario” sostiene l’ipotesi, senza però presentare prove, che “l’omicidio di Pier Paolo Pasolini potrebbe essere legato al furto delle pellicole originali di alcune scene del suo film ‘Salò e le 120 giornate di Sodoma’, che era ancora in produzione: lo scrittore-regista sarebbe andato all’Idroscalo di Ostia, dove poi è stato ucciso, proprio per riuscire a recuperarle”. Altri collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione. Walter Veltroni il 22 marzo 2010 ha scritto al ministro della Giustizia Angelino Alfano una lettera aperta, pubblicata sul Corriere della Sera, chiedendogli la riapertura del caso, sottolineando che Pasolini è morto negli anni settanta, “anni cui si facevano stragi e si ordivano trame”. Nel 2010 l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno ricordato che i proprietari della trattoria Biondo Tevere, di cui Pasolini era cliente abituale, furono sentiti pochissime ore dopo l’identificazione del corpo ed entrambi descrissero il giovane con cui Pasolini s’era presentato la sera del delitto come “alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all’indietro”, ovvero completamente diverso da Pelosi, che era poco più di 1,60 m, tarchiato e con folti capelli neri e ricci, secondo la moda dell’epoca. Hanno anche raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone, cosa che ha aperto ulteriori indagini. Le nuove indagini sono state infine definitivamente archiviate all’inizio del 2015 perché non hanno portato a nulla di nuovo rispetto alla sentenza, se non ad alcune tracce di DNA sui vestiti dello scrittore di difficile attribuzione e impossibili da collocare temporalmente, se durante il delitto o nei giorni precedenti.
Sostenitori della sentenza
«Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. È facile, è semplice, è la resistenza.» (Pier Paolo Pasolini – Ultima sua intervista, concessa poche ore prima della morte.)
Molti intellettuali sostengono la verità giudiziaria, o comunque non credono a complotti. Si tratta di scrittori e amici di Pasolini che ritengono inattendibile, per molti motivi, la ritrattazione di Pelosi a distanza di trent’anni. In linea generale, sono gli stessi che rifiutano la lettura politica militante delle opere di Pasolini e l’immagine edulcorata del personaggio che porta a farne “un santo e un martire”. Essi privilegiano, invece, una chiave interpretativa dell’uomo e dell’opera legata alla sua particolare omosessualità, vissuta senza fermarsi di fronte a pratiche estreme e violente, anche con i minori. Sono le basi da cui partono Edoardo Sanguineti (che definisce il suo comportamento “suicidio per delega”), Franco Fortini e il curatore dell’opera omnia Walter Siti per sostenere che in generale la sua scrittura presenta un forte contenuto autobiografico e che in particolare alcune opere sono una sorta di autobiografia originata da una tendenza sadomasochista votata all’autodistruzione. Sono le stesse basi che utilizzano Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch’egli omosessuale, poeta e scrittore, nonché suo collaboratore in tutti i film, e Marco Belpoliti per dire che con le teorie del complotto si manifesta la resistenza della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto, una pratica privata di cui non si deve parlare, mentre costituisce la sostanza su cui egli ha fondato la propria opera e la propria critica della società. Naldini, che definisce le teorie del complotto “bufale che si inseguono e che si divorano l’un l’altra”, e “delirio che continua da molti anni e non è ancora del tutto passato”, nel suo libro Breve vita di Pasolini, scrive che l’attrazione per quel tipo di ragazzi gli faceva perdere il senso del pericolo. Un senso che avrebbe invece dovuto tenere ben presente, vista anche la sua costituzione fisica minuta (benché agile e forte, era alto 1,67 m e pesava 59 kg) che lo portava a essere facile oggetto di lesioni, anche da parte di ragazzi. Per diversi motivi, tra cui il fatto che lo scrittore, da tempo, aveva adottato il sadomasochismo, anche con rituali feticistici (le corde per farsi legare e così immobilizzato in una sorta di scena sacrificale farsi percuotere fino allo svenimento), Naldini ritiene che abbiano ragione coloro che dicono che, suo cugino, in fondo, sia in parte autore del suo stesso destino. La sua morte è spiegata dal fatto che viveva una vita violenta: per questo egli pensa che sia allo stesso tempo tragico e ridicolo volerlo trasformare in una specie di santo laico. Anche per il critico Giancarlo Vigorelli, scopritore di Pier Paolo Pasolini sin da quand’era un poeta adolescente, si tratta di omicidio omosessuale. Egli considerava Pasolini un uomo pieno di contraddizioni non tanto perché cercasse il sesso occasionale, ma per la violenza, “per il modo bestiale in cui si consumava durante nottate di violenza che non comprendevo. Fino alle sette di sera era una persona, dopo era tutt’altra… a me gelava il sangue quando lo vedevo il giorno dopo le sue avventure notturne pieno di graffi e lividi”. Ferdinando Camon, la cui prefazione dei primi libri è stata scritta da Pasolini, afferma che lo scrittore è morto come ha rischiato tante volte di morire. Egli sostiene che le teorie del complotto rispondono al desiderio di alcuni amici di Pasolini di mondarlo dalla morte per omosessualità, vissuta anche comprando minorenni, per consegnarlo alla storia come morto per antifascismo. L’amico pittore Giuseppe Zigaina rievoca le circostanze della scomparsa di Pasolini in un suo saggio. Dal confronto con la simbologia presente in gran parte delle sue opere egli sostiene che Pasolini ha «progettato per quindici anni la sua morte». Sulle stesse posizioni, contro le teorie del complotto, si trovano anche Guido Santato, studioso di Pasolini, e l’italianista Bruno Pischedda il quale aggiunge che queste teorie sono anche un tentativo di preservarne la statura di vate, un modo per custodire un’immagine mitica, consacrata, ponendola fuori e al di sopra di qualsiasi giudizio. Anche se la tendenza a credere nelle teorie del complotto, secondo Pierluigi Battista, prescinde dalla storia personale dello scrittore, e deriva dal fatto che “i gialli sono sempre più avvincenti della piattezza delle trame realistiche”. Un altro cronista che non ha mai creduto alla tesi del complotto neofascista è Massimo Fini: nel 2015, in occasione dei quarant’anni dell’omicidio, ricordò che quella teoria fu innescata da Oriana Fallaci (sua collega all’Europeo) dopo aver sfogliato alcune riviste dal parrucchiere e aver raccolto dei boatos in quel senso. La morte di Pasolini per lo storico Federico Zeri può esser paragonata a quella di Caravaggio: “Secondo me c’è una forte affinità fra la fine di Pasolini e la fine di Caravaggio, perché in tutt’e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi”.
Rapporto con la madre
Susanna Maria Colussi (Casarsa della Delizia 10 marzo 1891 – Udine 1º febbraio 1981) fu profondamente amata dal figlio, che la ricordò in diverse opere, dedicandole, tra l’altro, la celebre Supplica a mia madre (in Poesia in forma di rosa). Pasolini la volle anche come attrice in Teorema e, nel ruolo della Madonna, ne Il Vangelo secondo Matteo. Sull’importanza di Susanna e sul ruolo della “madre” nell’opera di Pasolini esiste una vasta letteratura. Lo stesso Pasolini scrisse “ho sentito l’amore per mia madre molto, molto profondamente, e tutta la mia opera ne è influenzata, ma è un’influenza la cui origine è dentro di me, nel mio intimo e, come ho detto, piuttosto al di fuori della storia”. Marco Antonio Bazzocchi la definì “un alter ego, un oggetto di identificazione nei versi giovanili, è la madre reale nella poesia degli anni sessanta (soprattutto in Poesia in forma di rosa), è una figura profanata in Bestia da stile e in Petrolio”. Importanti e studiati anche gli aspetti psicoanalitici del rapporto.
Tributi a Pier Paolo Pasolini
A Pasolini sono stati dedicati eventi, mostre, film, un teatro e anche murales.
Hostia: la caduta di Pier Paolo Pasolini di Nicola Verlato
Hostia è un murale di Nicola Verlato sorto nell’aprile 2017 sulla facciata di una palazzina in via Galeazzo Alessi, nel quartiere di Torpignattara. Rappresenta la morte dello scrittore e regista romano, ucciso a Roma nel 1975. Il murale misura 10 metri di altezza per 5,8 metri di lunghezza, acrilico su intonaco, in bianco e nero. Il luogo non è casuale: infatti il quartiere di Torpignattara era uno dei più frequentati da Pasolini.
Retrospettiva al MOMA di New York
Una retrospettiva completa che celebra la produzione cinematografica del regista, dal 13 dicembre 2012 al 5 gennaio 2013 al MOMA di New York. Ad accompagnare l’evento, supportato da Gucci, una serata con letture di brani di Pasolini da parte di artisti italiani e americani, la presentazione del nuovo libro Pier Paolo Pasolini, il mio cinema, un seminario e una mostra di disegni e ritratti. Nell’ambito della manifestazione, inoltre, è stata allestita una mostra che presenta una quarantina tra disegni e dipinti di Pasolini, raramente esposti prima d’ora, custoditi presso l’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux di Firenze. La retrospettiva completa presenta i celebri film di Pasolini in copie nuove, realizzate dall’Istituto Luce Cinecittà in due anni di lavoro. Le opere corrispondono approssimativamente a quattro periodi della vita socialmente e politicamente impegnata dell’artista.
Songs For A Child: A Tribute To Pier Paolo Pasolini
Songs For A Child: A Tribute To Pier Paolo Pasolini è un album contenente 14 tracce pubblicato da Rustblade nel 2009, prodotto in edizione limitata (696 copie).
Lettera di Oriana Fallaci
La lunghissima lettera scritta da Oriana Fallaci il 16 novembre 1975, in onore del suo amico Pasolini è una testimonianza che aiuta a comprendere il grande scrittore italiano. Fu indirizzata idealmente al poeta dopo la sua morte e al suo interno la Fallaci rievoca parole, pensieri ed emozioni che le aveva lasciato il poeta attraverso alcune lettere: Diventammo subito amici, noi amici impossibili. Cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà, io innamorata della vita e tu innamorato della morte. Io così dura e tu così dolce.
Film di Abel Ferrara
Il regista Abel Ferrara dedicò un film alla sua biografia: Pasolini del 2014.
Una storia sbagliata di Fabrizio De André
Il poeta e cantautore italiano Fabrizio De André dedicò una canzone all’assassinio di Pasolini, definendolo, come dice il titolo, “una storia sbagliata”.
A Pa’ di Francesco De Gregori
Francesco De Gregori, nell’album Scacchi e tarocchi (1985), dedicò a Pasolini la canzone A Pa’, chiamandolo con un affettuoso diminutivo come se fosse un suo intimo amico.
In un futuro aprile
Il documentario diretto da Francesco Costabile e Federico Savonitto, miglior Film sull’Arte all’AsoloArtFilmFestival 2020, racconta gli anni della gioventù di Pasolini nel suo amato Friuli, attraverso la voce del cugino “Nico” Domenico Naldini.
Nella mano dell’angelo di Dominique Fernandez
Lo scrittore francese Dominique Fernandez ha pubblicato nel 1982 il romanzo Nella mano dell’angelo, dedicato alla vita di Pasolini. L’opera è vincitrice del Premio Goncourt.
Tributi fumettistici
Numerosi sono gli omaggi tributati a Pasolini per mezzo del fumetto. Tra i principali si segnalano i graphic novel Pig! Pig! Pig! (1993) di Jean Dufaux e Massimo Rotundo, Intervista a Pasolini (2002) di Davide Toffolo, Il delitto Pasolini (2005) di Gianluca Maconi e Diario segreto di Pasolini (2015) di Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini; inoltre le storie brevi Le ceneri di Pasolini di Graziano Origa (in Contro n. 6, marzo 1976) e La profezia di Pasolini: morire mi nuoce di Giuseppe Pollicelli e Nazareno Giusti (in la Lettura n. 205, 25 ottobre 2015). La figura di Pasolini è rievocata anche in Ragazzi di morte di Roberto Recchioni, Luca Vanzella, Valerio Befani e Pierluigi Minotti, ottavo numero della serie Battaglia (2017). In gran parte dedicato a Pasolini, a partire dalla copertina realizzata da Francesco Ripoli, è il numero di marzo 2022 del mensile linus. All’interno della rivista compaiono cinque opere a fumetti che celebrano lo scrittore e regista. Nel 2022 si sono svolte a Roma due mostre incentrate sulla presenza di Pasolini nei fumetti: Cuore cosciente. Pasolini raccontato nel fumetto (a Palazzo Merulana, dal 26 agosto al 2 ottobre) e l’itinerante Pier Paolo Pasolini. Fumetti corsari (inauguratasi il 15 settembre presso la Galleria Moderni di via dei Banchi Vecchi).
Omaggio dei Coil
Il gruppo britannico Coil dedicò una canzone alla morte di Pasolini nel suo secondo album Horse Rotorvator del 1986, dal titolo Ostia (The Death of Pasolini). Nelle loro esibizioni live, prima dell’esecuzione del brano, erano soliti a leggere un passaggio tratto dalla poesia Una disperata vitalità della raccolta Poesia in forma di rosa.
Salerno Letteratura Festival
Durante la decima edizione del “Festival di Salerno Letteratura” gli viene dedicata una sezione di eventi, dal titolo Pasoliniana. Inoltre Salerno gli ha dedicato l’ex cinema Diana divenuto Teatro Pier Paolo Pasolini.
Documentario di Giancarlo Scarchilli
Il regista Giancarlo Scarchilli ha dedicato un documentario per raccontare la “visione nuova” del poeta, regista e scrittore attraverso le personalità del tempo che lo hanno conosciuto: Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova (2023) documentario.
Archivi personali
– Presso la Cineteca di Bologna si trova l’archivio del Centro Studi Pier Paolo Pasolini donato nel 2004 da Laura Betti.
– Il Gabinetto Vieusseux di Firenze ha un suo consistente fondo comprendente circa 39 anni di epistolario, manoscritti e dattiloscritti delle sue opere, foto personali e foto di scena, rassegna stampa sulle sue attività, opuscoli, locandine, ecc.
– Una raccolta di manoscritti del periodo friulano, tra cui Quaderni rossi (1946-1947) e i Manifesti politici (1949) e una fitta corrispondenza epistolare con gli amici e i parenti sono depositati al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia.
Opere
Per l’importanza della sua poesia il critico statunitense Harold Bloom ha inserito Pasolini tra gli scrittori che compongono il Canone Occidentale. È stato definito come il “primo grande artista multimediale dell’epoca contemporanea”, noto per il suo “cinema di poesia”. A proposito della stretta relazione tra arte e vita si è parlato di “letteratura corporale”, intendendo la personificazione della letteratura nel corpo dello scrittore.
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Curiosità – fonte: www.onestoespietato.com
1 – In un primo momento il protagonista di Accattone doveva essere Franco Interlenghi, il quale però rinunciò. Pasolini si trovò quindi costretto a dover cercare quello che lui stesso definì “un vero accattone”. La scelta cadde su Franco Citti che divenne uno dei suoi attori feticcio.
2 – Inizialmente, stando ad un accordo con i produttori Cervi e Iacovoni, il film d’esordio che nel 1960 avrebbe dovuto lanciare Pasolini doveva essere La commare secca. Poi il progetto sfumò e il film passò di mano, diventando l’esordio di Bernardo Bertolucci, aiuto regista di PPP per quello che sarà il suo primo film, Accattone (1961), passato alla storia anche come il primo film italiano col divieto ai minori di 18 anni.
3 – I rapporti di Pasolini con la Chiesa furono sempre piuttosto complicati. Ma la personalità di Papa Giovanni XXIII colpì così tanto Pasolini che il regista lo inserì nei titoli di testa de Il Vangelo secondo Matteo con la seguente dedica: “Alla cara, lieta, familiare figura di Giovanni XXIII”.
4 – Le riprese de Il Vangelo secondo Matteo erano pronte per il primo “ciak”, ma Pasolini non aveva ancora trovato l’attore che avrebbe interpretato Gesù. Lo trovò casualmente in Enrique Irazoqui, studente catalano di letteratura che aveva scritto un saggio sui Ragazzi di vita di Pasolini ed era giunto in Italia solo per conoscere il regista. Trovato il protagonista, Pasolini chiamò al telefono Ninetto Davoli esclamando: “Ho visto Gesù! Ho visto Gesù!”.
5 – La ricotta (1963), episodio di Pasolini in RoGoPaG, è uno dei film più ostacolati della storia del cinema italiano. Dieci giorni dopo l’uscita in sala, i carabinieri interruppero la proiezione del film al cinema Corso di Roma, sequestrando la pellicola per “vilipendio alla religione di Stato”. Il film fu inoltre definito “cavallo di Troia della rivoluzione proletaria nella città di Dio”. Pasolini si fece 4 mesi di carcere e il suo film tornò nei cinema solo vari mesi dopo con svariati tagli di censura e un nuovo titolo: Laviamoci il cervello.
6 – In Salò o le 120 giornate di Sodoma, per ricreare le feci servite nel capitolo del “girone della merda”, Pasolini chiese che venisse fatto un intruglio disgustoso a base di cioccolata e marmellata eccessivamente dolci mischiate ad altri ingredienti dal sapore fortemente contrastante, così da sollecitare la reazione schifata degli attori che nel film dovettero mangiarne.
7 – Nel 1966 Dino De Laurentiis produce Le streghe, film ad episodi sul tema della donna-strega a cui presero parte Pasolini, Rosi, Bolognini, De Sica e Visconti. Per il suo episodio, La terra vista dalla Luna, nel quale raccontava il viaggio di un padre e un figlio alla ricerca della moglie e madre perfetta, Pasolini dichiarò di ispirarsi alle prime comiche di Chaplin, che erano mute e traevano forza dalle immagini. Ormai in collisione con la concettualizzazione borghese del discorso, e alla ricerca di un nuovo linguaggio filmico, Pasolini non scrisse la sceneggiatura, ma realizzò una sorta di story board a fumetti.
8 – La canzone in dialetto napoletano “Fenesta ca lucive” fu utilizzata più volte da Pasolini nei suoi film. In primis la fece cantare ai “banditi” napoletani in Accattone, poi la inserì nuovamente sia ne Il Decameron (1971) che ne I racconti di Canterbury (1972).
9 – La presenza di Pasolini come attore nei panni di Giotto ne Il Decameron inizialmente non era prevista. Infatti il ruolo doveva essere interpretato da Sandro Penna, il quale però si ritirò all’ultimo.
10 – Dulcis in fundo: è strano da dirsi ma più o meno Pasolini e il ragionier Ugo Fantozzi la pensavano allo stesso modo in merito a La Corazzata Potemkin di Eisenstein. Pasolini, che non amava il regista russo, non la definisce propriamente “una cagata pazzesca”, ma nel 1973 ne parla così: “Io sono probabilmente uno dei pochi intellettuali che non amano Eisenstein. So bene che egli ha un grande talento, e che la sua figura è forse, culturalmente, il vertice giganteggiante del Formalismo russo. Ma considero le sue opere tutte mancate. La Corazzata Potemkin è proprio un brutto film, dove il conformismo con cui sono visti i personaggi rivoluzionari è quello della più faziosa propaganda, ma senza il gusto formale dell’affiche”.
Filmografia – fonte: www.cinematografo.it
2015 – Pasolini. Il corpo e la voce – Attore (Se stesso con immagini di repertorio)
2014 – Resistenza Naturale – Attore (immagini di repertorio)
2011 – Amore carne – Soggetto (testi)
2008 – La rabbia di Pasolini – Regia e Soggetto – (1963) Sceneggiatura – (1963) Montaggio – (collaborazione, 1963)
2006 – Pasolini e l’umiliazione segreta di Chaucer – Attore (Se stesso)
2006 – Pasolini prossimo nostro – Attore (Se stesso)
2001 – Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno – Attore (Se stesso)
1999 – Una disperata vitalità – Soggetto
1981 – Calderon – Soggetto
1975 – Salò o le 120 giornate di Sodoma – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1974 – Il fiore delle Mille e una notte – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1973 – Storie scellerate – Soggetto e Sceneggiatura
1972 – I racconti di Canterbury – Regia, Attore (Geoffrey Caucher), Sceneggiatura e Musiche
1971 – Le mura di Sana’a – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1971 – Il Decameron – Regia, Attore (Giotto), Sceneggiatura e Musiche
1970 – 12 Dicembre – Soggetto
1970 – Ostia – Regia (supervisione), Soggetto e Sceneggiatura
1969 – Appunti per un’Orestiade africana – Regia, Soggetto, Sceneggiatura e Montaggio
1969 – Porcile – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1969 – Appunti per un film sull’India – Regia, Attore (Se stesso)
1969 – Medea – Regia, Soggetto, Sceneggiatura e Musiche
1968 – Teorema – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1968 – Amore e rabbia – Regia (“La sequenza del fiore di carta”), Soggetto (“La sequenza del fiore di carta”) e Sceneggiatura – (“La sequenza del fiore di carta”)
1967 – Capriccio all’italiana – Regia (“Che cosa sono le nuvole?”), Soggetto (“Che cosa sono le nuvole?”) e Sceneggiatura (“Che cosa sono le nuvole?”)
1967 – Edipo Re – Regia, Attore (Gran sacerdote), Soggetto, Sceneggiatura e Musiche
1967 – Le streghe – Regia (“La Terra vista dalla Luna”), Soggetto (“La Terra vista dalla Luna”) e Sceneggiatura (“La Terra vista dalla Luna”)
1966 – Requiescant – Attore (Don Juan)
1966 – Uccellacci e uccellini – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1964 – Sopralluoghi in Palestina – Regia, Attore (Se stesso), Soggetto e Musiche
1964 – Comizi d’amore – Regia, Attore, Soggetto e Sceneggiatura
1964 – Il Vangelo secondo Matteo – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1963 – La rabbia – Regia (prima parte), Sceneggiatura (prima parte) e Montaggio (collaborazione, prima parte)
1963 – Ro.Go.Pa.G. – Regia (“La ricotta”), Soggetto (“La ricotta”) e Sceneggiatura (“La ricotta”)
1962 – La commare secca – Soggetto e Sceneggiatura
1962 – Mamma Roma – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1962 – Provini per “Il padre selvaggio” – Regia
1962 – Una vita violenta – Soggetto (romanzo)
1962 – La canta delle marane – Soggetto (romanzo) e Sceneggiatura (commento)
1961 – Accattone – Regia, Soggetto e Sceneggiatura
1960 – La giornata balorda – Soggetto e Sceneggiatura
1960 – Il carro armato dell’8 settembre – Sceneggiatura
1960 – La lunga notte del ’43 – Sceneggiatura
1960 – Milano nera – Sceneggiatura
1960 – La ragazza in vetrina – Sceneggiatura
1960 – Il Gobbo – Attore (Leandro, detto “Er monco”)
1960 – Il bell’Antonio – Sceneggiatura
1959 – La notte brava – Soggetto (romanzo) e Sceneggiatura
1959 – Morte di un amico – Soggetto
1958 – Giovani mariti – Sceneggiatura (collaborazione)
1957 – Grigio – Sceneggiatura (testo del commento)
1957 – Marisa la civetta – Soggetto e Sceneggiatura
1956 – Le notti di Cabiria – Sceneggiatura (collaborazione ai dialoghi)
1955 – Il prigioniero della montagna – Sceneggiatura
1955 – La donna del fiume – Sceneggiatura