Paisà
Al margine di quanto apprendiamo fra i banchi di scuola, al margine di quanto viene trascritto sui testi scolastici che narrano gli accadimenti di un conflitto bellico di dimensioni mondiali oltre che catastrofiche, ci sono le sfumature che molto spesso vengono tralasciate e relegate nei meandri della memoria di chi le ha vissute sulla propria pelle. E poi ci sono persone che non tollerano questa “dimenticanza” ed usano il proprio talento e la propria arte per far sì che eventi non tenuti in considerazione siano altrettanto importanti e, soprattutto, non dimenticati. Roberto Rossellini è uno di questi. In totale indipendenza ed improvvisando con mezzi di fortuna, torna a dipingere il suo capolavoro neorealistico degli anni della Grande Guerra, raccontando l’avanzata degli Alleati dalla Sicilia verso il Nord Italia, attraverso sei episodi rappresentativi della “vita vera”, molto diversi fra loro, ma accomunati dalla crudeltà del conflitto e dalla miseria in cui riversa la gente. Universi opposti, amori soffocati e bellissime location caratterizzano il capolavoro internazionale, nominato come miglior sceneggiatura originale agli Academy del 1950, che noi tutti conosciamo come Paisà. Stilisticamente, gli episodi si suddividono in due fasce: una fascia in cui si prediligono la poesia umanistica ed il disegno delle figure attraverso racconti tristi ed emblematici, caratterizzati dalla dura realtà impregnata di voglia di riscatto, mentre l’altra tralascia il lirismo per descrivere quasi in maniera documentaristica gli stralci di vita e di guerriglia vissuti. Tuttavia, entrambe hanno fondamenta comuni, ovvero la straordinaria capacità di restituire i personaggi, così come i momenti cruciali e le fasi storiche nel microcosmo. Un’opera meno “costruita”, più distaccata del suo predecessore “Roma città aperta“, poiché Rossellini ha voluto favorire l’esposizione delle immagini e degli sguardi, al fine di donare ai posteri una visione più oggettiva e realistica, depurata dalla contingenza storica e da qualsiasi conseguente impeto passionale e melodrammatico. L’episodio trainante, a mio modesto parere, è il secondo, ambientato a Napoli: struggente nel momento in cui il soldato di colore realizza la miseria da cui è circondato, dopo essersi lamentato delle proprie condizioni in patria. Ma son degni di nota anche l’ultimo capitolo ed il primo, girato in Sicilia e ricco di poesia: eccezionale nel delineare una figura attraverso le sole azioni e la comunicazione non verbale. Il meno convincente è quello ambientato nel convento, dove il finale non ottiene l’effetto sperato di rimarcare il contrasto fra pace spirituale e vita reale.
Trama – fonte: www.comingsoon.it
Attraverso sei episodi distinti ed indipendenti uno dall’altro, il film rievoca l’avanzata delle truppe alleate in Italia. Si inizia con un episodio dello sbarco in Sicilia, dove una ragazza e un soldato americano vedono troncare sul nascere la loro storia d’amore. Segue una scena a Napoli, protagonisti un soldato afroamericano e un bambino, che deruba il militare. Il soldato, inseguendo il bambino, scopre la vita misera che conduce con la famiglia e decide di non denunciarlo. Il terzo episodio si svolge a Roma, dove un soldato si incontra con una prostituta, raccontandole di una ragazza che aveva conosciuto tempo prima. L’uomo non sa che quella giovane di cui serba il ricordo è proprio lei. Il quarto rievoca le drammatiche giornate della liberazione di Firenze, dove una donna cerca un suo amico pittore, ora capo partigiano. Il quinto si svolge in Romagna nella riposante quiete di un piccolo convento sulla linea gotica sconvolto dagli eventi. L’ultimo, ambientato nel Delta del Po esalta la coraggiosa opera di partigiani italiani nelle paludi della Valle padana.
Cast – fonte: www.comingsoon.it
Trailer
Riconoscimenti – fonte: www.mymovies.it
Il film ottenne una candidatura ai Premi Oscar del 1950:
Nomination Miglior sceneggiatura originale a Roberto Rossellini, Federico Fellini, Alfred Hayes, Marcello Pagliero, Sergio Amidei
Curiosità – fonte: www.comingsoon.it
1 – Tra gli interpreti hanno recitato militari e autentici monaci francescani del convento di Maiori;
2 – Segnalazione della commissione internazionale dei giornalisti alla Mostra di Venezia del 1946;
3 – Nastro d’Argento per il miglior film, per la migliore regia e per la migliore musica (1947).