Quel pomeriggio di un giorno da cani
Le prime parole che compaiono sullo schermo di Quel pomeriggio di un giorno da cani sono:
Quello a cui stiamo per assistere è tratto da fatti reali, avvenuti a Brooklyn, New York il 22 agosto del 1972.
Una Brooklyn anni ’70 in cui vivono persone di ogni ceto sociale, contraddistinte da differenze culturali incisive, ma accomunate dal desiderio sempre più lontano del cosiddetto ‘sogno americano’, mentre fra la generazione giovanile divaga la più totale disillusione, ci viene narrata da un grande maestro del cinema internazionale, Sidney Lumet, sulle note di Amoreena, cantata da Elton John. Tre giovani uomini entrano in una banca per rapinarla: prendere i soldi e fuggire via senza far male a nessuno è il loro intento. Si ripromettono di darsi massimo mezz’ora, ma uno dei tre ha paura e si ritira immediatamente. Giovani ed inesperti, con una goffaggine quasi tenera, entrano in banca seminando il panico fra i presenti. Ci vogliono solo 10 minuti per mandare a monte il loro buon proposito di essere fuori da lì in mezz’ora: i soldi sono appena stati ritirati dagli agenti di sicurezza e fuori c’è già la polizia che ha cerchiato il perimetro intorno alla banca. Lo scenario muta velocemente. Ora sono dei rapitori che per sopravvivere devono barricarsi all’interno e tenere il direttore, la guardia di sicurezza e le commesse come ostaggi. Media, FBI e polizia, sono sul luogo per raccontare e gestire il crimine nel migliore dei modi possibile. Una folla di curiosi man mano cresce sul posto, per comprendere chi siano i due malintenzionati ed il motivo del loro gesto. Sonny Wortzik (Al Pacino) e Sal Naturile (John Cazale), veterani del crudo conflitto del Vietnam, sono i nomi ed i volti dei due rapitori. Pacino e Cazale regalano al pubblico un’interpretazione indimenticabile: il modo di recitare comunica perfettamente l’indole dei due, presentandosi totalmente agli antipodi. Cazale recita in sottrazione, col suo tipico sguardo malinconico rimane quasi estraniato dal contesto esterno e da ciò che sta accadendo. Ascolta, osserva, nonostante per tutto il tempo tenga in mano un’arma, ha quella tenerezza rara e amara di chi non conosce affatto il mondo che lo circonda. Ingenuo, ma protettivo verso l’amico, è pronto a reagire violentemente solo se Sonny è in pericolo. E’ quasi la sua ombra, tutto il resto non conta. Non si può non restare interdetti davanti alla sua indole ed alla sua mentalità ristretta quando alla domanda di Sonny: “Dove vuoi andare? Purché sia fuori dall’America!” egli risponde: “La California!”. Al Pacino fa un lavoro opposto. Nella sua interpretazione esplode, una vera e propria bomba a mano. Il suo è un personaggio pieno di vita, altruista, ne fa un ritratto umano e fragile, di una teatralità pulsante. La sua vita è sempre stata piena di compromessi: una moglie logorroica e petulante, dei figli, una madre iperprotettiva ed infine un’omosessualità nascosta. E’ isterico, nevrotico, esplode come se fosse consapevole dell’unica occasione per farlo, come se in quella situazione estrema si senta finalmente libero di essere se stesso. Privo di menzogne e compromessi, privo di ogni dovere, slegato da leggi sociali, è un cane sciolto. Ogni qual volta che deve uscire per parlare con l’ufficiale che gestisce le contrattazioni, il Signor Moretti (Charles Durning), è un motivo in più per fare un suo show. Osannato dal pubblico appostato per l’evento, in scatti fuori controllo e privi di ogni razionalità grida il proprio sdegno per la società americana e per ciò che ne sta diventando. Grida “ATTICA”, in riferimento alla rivolta carceraria nell’omonimo carcere organizzata dalle Pantere Nere dopo l’uccisione dell’attivista politico George Jackson. Per questo suo atteggiamento, viene eletto a “star” del giorno dai mass media presenti, sempre pronti a strumentalizzare le tragedie trasformando la disperazione in talk show, spettacolarizzando la solitudine e la miseria umana in modo da accrescere gli ascolti. Anche se quasi interamente girato all’interno della banca, e dunque apparentemente con un unico filo narrativo, Lumet è capace di inserire momenti di ilarità, usando una regia attenta, basata sull’uso di molti primi piani, al fine di poter sentire l’ansia da un volto sudato, da un gesto, da uno scambio di sguardi. Quel pomeriggio di un giorno da cani è costruito su dialoghi che riescono a trasformare i due rapinatori a manifesto assoluto di rivolta verso una società americana incancrenita dagli errori dei suoi politici e dagli orrori di una estenuante e sanguinosa guerra: compiere un’azione riprovevole, come la rapina in banca, per attuare un processo di purificazione, muovendosi fino a divenire ribellione pura e necessaria. La tentata rapina che ha causato in loro una forte popolarità sarà la successiva consapevolezza di distruzione totale della loro persona. Non basta il tifo della folla all’esterno e nemmeno l’accennata simpatia resa sempre più palese da parte degli ostaggi. La legge ed il sistema stesso su cui si basa l’intera società americana non perdona e gli ex veterani di guerra, sono e rimangono elementi estranei il cui errore non ha alcuna soluzione: vanno puniti! Sonny e Sal sono il prodotto di questa società, di questo paese, che finge in continuazione di essere il cuore pulsante del mondo, la luce in fondo al tunnel. Lumet è molto critico e palesa chiaramente come il tanto desiderato e pubblicizzato ‘sogno americano’, non sia per tutti, come una società finta sia invece concreta nel porre l’accento sui ‘difetti’ umani al fine di mostrare al pubblico l’inadeguatezza verso una società puritana e piena di opportunità. Sidney Lumet è promulgatore di un cinema classico, di quel cinema difficile da replicare: uno stile pulito si mischia a volte con immagini frenetiche e velocissime, ma, come accennato in precedenza, l’attenzione principale è tutta sui primi piani degli interpreti, estremamente delicati e di un’eleganza vibrante. Sono sempre gli sguardi dei suoi personaggi a parlare prima delle parole, sono gli occhi dei suoi personaggi a parlare e, nei loro volti sudati, troviamo argomenti su cui riflettere oggi, domani e per sempre.
Trama – fonte: www.comingsoon.it
Quel pomeriggio di un giorno da cani è un film del 1975 diretto da Sidney Lumet. Il 22 agosto 1972 tre giovani reduci dal Vietnam assaltano una banca di Brooklyn. Poco prima dell’orario di chiusura irrompono nell’edificio: vogliono prendere i soldi, fuggire e non far male a nessuno. Sono insicuri, inesperti e si presenta subito un intoppo: uno dei tre non ce la fa e paralizzato dalla paura scappa via. Sonny (Al Pacino) e Sal (John Cazale), legati da una profonda amicizia, vanno avanti, ma un’altra sorpresa li attende: la cassaforte è praticamente vuota, ci trovano poco più di un migliaio di dollari. Disorientati, decidono di raccogliere i soldi e gli averi del direttore, del guardiano e delle commesse della piccola filiale, che inevitabilmente diventano ostaggi quando Sonny e Sal si accorgono che la banca è circondata dalla polizia e che la fuga non è più possibile senza trattare. Un poliziotto, Eugene Moretti (Charles Durning), avvia i negoziati sotto la supervisione dell’FBI. I rapinatori chiedono una scorta sicura fino ad un aereo che li porti fuori dal paese. Intanto, intorno la banca si accalcano persone pronte a osannare Sonny che, ormai fuori controllo, grida la sua rabbia verso la società americana. Arrivano giornalisti che fanno dei due le star del giorno, trasformando la disperazione in chiacchiere da bar, cercando di svelare chi siano questi due personaggi e il perché del loro gesto.
Cast – fonte: www.comingsoon.it
Trailer
Riconoscimenti – fonte: www.mymovies.it
Il film ottenne ben sei candidature ai Premi Oscar del 1976, portandosi a casa una statuetta:
Miglior sceneggiatura originale a Frank Pierson
Le altre nomination furono:
Nomination Miglior film
Nomination Miglior regia a Sidney Lumet
Nomination Miglior attore a Al Pacino
Nomination Miglior attore non protagonista a Chris Sarandon
Nomination Miglior montaggio a Dede Allen
Curiosità – fonte: www.comingsoon.it
1. La storia trae ispirazione da un fatto di cronaca, una tentata rapina in una banca di New York, raccontata in un articolo giornalistico scritto da Kluge e Moore della rivista Life, pubblicato nel mese di settembre del 1972.
2. I dialoghi del film sono per lo più improvvisati, come anche il famoso grido di Sonny “Attica, Attica!”
3. Durante la produzione del film, Al Pacino dormiva solo un paio d’ore, mangiava poco e faceva docce fredde, per enfatizzare l’aspetto arruffato e sfinito di Sonny. A metà del film fu ricoverato per un breve periodo.
4. Il film ricevette tantissimi riconoscimenti, tra cui un Oscar per la sceneggiatura, due premi Bafta e un David di Donatello.