C’era una volta in America
Definito l’artista del tempo, Sergio Leone mostra al mondo la sua grande capacità di “giocare” con esso, di comprenderne il senso, di cristallizzarlo, nel suo ultimo capolavoro “C’era una volta in America“. Un viaggio criptico alla ricerca del tempo perduto, che scorre inesorabilmente nella memoria dei suoi protagonisti, in maniera nostalgica, sino a ricreare una sorta di anticamera di una realtà sospesa. La struttura del film è un racconto apparentemente lineare e pervaso di ricordi che vanno a frantumare ogni certezza mostrata nel lineare excursus. E’ qui che diviene necessario approfondire la complessa operazione spazio-temporale messa in piedi dagli sceneggiatori, che fanno del tempo il vero e proprio protagonista della storia. tempo e spazio sono le componenti essenziali del cinema, tanto che ogni regista, nella costruzione di una qualsiasi inquadratura, si trova a dover decidere cosa includervi, compiendo una propria scelta intima che va a creare un collegamento spazio-temporale con l’inquadratura successiva. Conseguenza naturale di ciò è la costruzione della sequenza, il montaggio: esso si diversifica in naturale (o invisibile), dovuto allo scorrere del racconto e discreto, ed evidenziato, utilizzato per portare lo spettatore a carpire un vero e proprio cambiamento nella visione. Il maestro Leone si avvale di quest’ultima tecnica negli sbalzi temporali del film, donando ai tagli di montaggio una connotazione quasi surreale ed onirica, senza però appesantire il normale fluire delle immagini. Questa costruzione va a vantaggio del valore simbolico che acquista il tempo, consentendo a Leone di firmare una personale riflessione sul tempo cinematografico e sul tempo realistico, dunque intrinsecamente un punto di vista personale sulla differenza fra finzione e realtà. Tre sono le date fondamentali su cui pone l’accento Leone: 1923, 1933 e 1968. Queste delimitano i due blocchi temporali che compongono la struttura fatta di un periodo di 45 anni, in cui si consuma l’intera narrazione. Nello specifico, il 1923 ed il 1933 diventano dei flashback rispetto al 1968, mentre quest’ultimo diventa un flashforward del 1933. Questo comporta la creazione di un rapporto causa-effetto fra gli episodi narrati, riducendo l’azione ai suoi punti cardine, elidendone così i tempi morti. E quando il racconto necessita di un accento, il maestro è abile a sovrapporre in dissolvenza le due immagini che ne sanciscono questa evidenza. In sostanza, la tecnica è la lingua madre di Sergio Leone, e senza di essa C’era una volta in America non sarebbe un vero e proprio capolavoro. Si potrebbe continuare ad analizzare ed evidenziare tutte le tecniche usate dal regista, ma si rischierebbe di distrarsi dalla poesia che Leone ha espresso con il semplice strumento delle ottiche, dei tagli di inquadratura, dei movimenti di macchina: la sua sensibilità è pura poesia! “Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?” – chiede Moe, e lui, appendendo il cappotto, risponde: “Sono andato a letto presto!“. Questa sequenza mostra la sensibilità di Sergio Leone nell’introdurre il tempo del ricordo, l’unico che il personaggio di Noodles (Robert De Niro) riesce a vivere. Il suo viso invecchiato è assente ed il regista lo contrappone all’immagine della foto di Deborah (Elizabeth McGovern): parte la musica evocativa, firmata dal grande maestro Ennio Morricone, che lo riporta nel passato e la macchina da presa precede i movimenti del protagonista, poi va a seguire il suo sguardo, per ritrovarlo infine in un intenso e struggente primo piano, in cui l’occhio della cinepresa sembra riunire passato e presente in un solo istante, quasi ad essere un portale temporale che ricongiunge ciò che sembrava diviso per sempre. Ma la sceneggiatura riserva altre sorprese, come il personaggio di Max (James Woods). Se Noodles incarna la memoria, Max è la chiave d’accesso al futuro, il personaggio vincente, quello destinato al successo, soluzione dell’enigma nel 1968. Noodles ne è una vittima, così come metaforicamente è una vittima del tempo: egli è l’incarnazione di Leone nella narrazione del film, la sua riflessione personale sulla storia del cinema, sull’immagine controversa di un’America mitizzata dalla sua generazione e soprattutto sul flebile equilibrio che si crea fra finzione e realtà nella vita degli artisti. Con C’era una volta in America, Sergio Leone è riuscito a ricreare tutto il suo cinema e a lasciarlo per sempre ai posteri, un poetico capolavoro capace di sospendere lo spettatore fra la vita e la morte, lasciando che tutto si perda nel suo onirico enigma, felicemente e perennemente irrisolto.
Trama – fonte: www.comingsoon.it
C’era una volta in America è un film del 1984 diretto da Sergio Leone.
La storia inizia nel 1933, nella New York del Proibizionismo. Quattro sicari devono fare fuori il gangster David “Noodles” Aaronson (Robert De Niro). Per trovarlo, uccidono prima la sua compagna Eve e poi torturano “Fat” Moe Gelly – proprietario del bar dove staziona il criminale – che li indirizza a una fumeria cinese. Noodles però riesce a scappare su un treno per Buffalo.
Torna a New York solo nel 1968, più che sessantenne, dove rincontra Moe, ormai vecchio. Un flashback lo riporta negli anni ’20: ricorda la bella Deborah (Elisabeth Mc Govern), il grande amore della sua vita, ripensa a quando era un ragazzo di strada del ghetto ebraico, alla profonda amicizia con Max Bercovicz (James Woods) e a come con lui avesse fondato una gang insieme a Patsy, Cockeye e Dominic, rendendosi così nemico il boss locale Bugsy (James Russo).
Dapprima si cimentavano in furti e ricatti di poco conto, ma crescendo erano diventati esperti criminali, coinvolti in importanti affari illeciti, oltre che uomini violenti e spietati. Una rapina di diamanti a una gioielleria, commissionata da un boss di un’altra città, aveva segnato una profonda frattura nel gruppo e Noodles aveva assistito alla morte di tutti i suoi amici. Finito il flashback, Noodles si troverà a fare i conti con il passato, tra vecchi fantasmi e questioni irrisolte, tra nuove imprese criminali e la possibilità di fare pace con la sua storia.
Cast – fonte: www.comingsoon.it
Trailer
Riconoscimenti – fonte: www.mymovies.it
Alla sua uscita, Il film non fu molto apprezzato all’estero, ma in Italia ottenne cinque candidature ai Nastri d’Argento del 1985 vincendo tutti i premi:
Miglior regia a Sergio Leone
Miglior fotografia a Tonino Delli Colli
Miglior scenografia a Carlo Simi
Miglior musica a Ennio Morricone
Migliori effetti speciali a Gabe Vidella
Curiosità – fonte: www.cinefilos.it
1. Narra l’evoluzione dell’America criminale.
Le vicende del film si svolgono nell’arco di quarant’anni, e seguono le drammatiche vicissitudini del criminale David “Noodles” Aaronson e dei suoi amici, dal loro progressivo passaggio dal ghetto ebraico all’ambiente della malavita organizzata nella New York del proibizionismo e del post-proibizionismo.
2. È tratto da un romanzo.
Il film è tratto dal romanzo The Hoods, pubblicato dallo scrittore Harry Grey nel 1952. Il romanzo è basato sulle esperienze dello stesso Grey, criminale nei primi decenni del Novecento. Questa fu una delle poche autobiografie di un gangster mai pubblicate.
3. Ha un cast di grandi attori e giovani debuttanti.
Avendo a disposizione un budget piuttosto elevato, Leone si avvalse di un cast misto, composto da grandi stelle internazionali e da attori debuttanti. Protagonista del film è Robert De Niro, nel ruolo di David Aaronson, a cui si affianca l’attore James Woods nel ruolo di Maximilian Bercovicz. Tra gli attori che conobbero la celebrità con il film si annoverano invece Tuesday Weld, Elizabeth McGovern e Jennifer Connelly. Al film partecipò anche l’attore Joe Pesci in un piccolo ruolo.
4. Pesci si era proposto per un ruolo più importante.
L’attore Joe Pesci, molto amico di De Niro, si era proposto per il ruolo di Maximilian Bercovicz, ma Leone non lo ritenne adatto per la parte. Gli propose così di scegliere un qualsiasi altro personaggio e Pesci scelse così la parte di Frankie, originariamente più ampia nella sceneggiatura e drasticamente ridimensionata nella versione finale del film.
5. Jennifer Connelly divenne celebre grazie al film.
L’attrice, giovanissima, fu notata da un addetto al casting di un altro film, il quale sapeva che il regista italiano stava cercando una ragazza da far danzare davanti alle cineprese. Dopo aver visto la Connelly ballare decide di proporla a Leone, che la scritturò immediatamente, avviandola alla carriera cinematografica.
6. De Niro cercò di incontrare un vero boss della malavita.
Per preparare e perfezionare al meglio il suo personaggio, De Niro chiese ripetutamente di poter incontrare il boss della malavita Meyer Lansky, ma non ottenne mai una risposta positiva.
7. La colonna sonora fu affidata ad Ennio Morricone.
Leone non ebbe mai dubbi su chi ingaggiare per realizzare la colonna sonora del film, affidando tale ruolo ad Ennio Morricone, collaboratore di lunga data. La musica del film fu commissionata con così largo anticipo che veniva ascoltata, seppur non nella versione orchestrata, sul set durante le riprese.
8. Tarantino ha omaggiato il film con il suo nuovo lungometraggio.
Da sempre noto fan di Leone, il regista Quentin Tarantino ha omaggiato il film del 1984, definito come uno dei suoi preferiti di sempre, con il titolo del suo nuovo lungometraggio, C’era una volta a… Hollywood, distribuito nel 2019 con protagonisti Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Margot Robbie.
9. Il film contiene numerose frasi divenute celebri.
Il film è divenuto celebre anche per le sue numerose frasi entrate nella storia del cinema, che sanno racchiudere il senso e l’atmosfera del film e dei suoi personaggi.